Nascondevano la droga nel cimitero e sospettavano di essere sotto tiro: caccia alle “cimici” per colpire le indagini

I dettagli dell’indagine sfociata nella retata dei carabinieri: nel mirino il sodalizio guidato da “Peppolino Capone”

Nascondevano la droga nel cimitero e sospettavano di essere sotto tiro: caccia alle “cimici” per colpire le indagini
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Martedì 28 Marzo 2023, 20:55

C’è stato un momento in cui il presunto sodalizio guidato da “Peppolino Capone”, alias Giuseppe Buccoliero, ha avuto la certezza di essere nel mirino degli investigatori. E risale all’ottobre di tre anni fa quando, Antonio Panariti, l’uomo indicato come il braccio destro del promotore del gruppo dedito allo spaccio di droga a Sava, trovò casualmente la microspia che i carabinieri avevano piazzato nella sua vettura.

La vicenda è raccontata con dovizia di particolari nell’ordinanza di custodia cautelare spiccata dal gip Alessandra Sermanini su richiesta del pm della Dda di Lecce Milto Stefano De Nozza, a carico 19 indagati, finiti in carcere e ai domiciliari con le accuse, contestate a vario titolo, di associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, spaccio di droga, detenzione illegale di armi e ricettazione.

Il gruppo, secondo gli investigatori, avrebbe gestito lo spaccio di droga nei comuni di Sava e Torricella, utilizzando come base il cimitero savese. Contro gli indagati gli esiti dell’attività investigativa condotta dai carabinieri e coordinata dal pm antimafia De Nozza.

L'indagine

Indagine che proprio dalle intercettazioni telefoniche e ambientali ha ricevuto un impulso determinante, oltre che dal risultato dei servizi di appostamento e di pedinamento e dalle immagini registrate dalle telecamere sistemate dagli investigatori anche in prossimità del cimitero e delle abitazioni di alcuni inquisiti. Ad ottobre del 2020, però, l’inchiesta rischiò di incepparsi quando Antonio Panariti scoprì nella sua fiat Uno la presenza di una microspia. Il rinvenimento avvenne casualmente nel corso di un intervento di manutenzione in un’officina. L’episodio, ovviamente, mise in allarme Panariti ma anche i presunti complici, come documentato dai dialoghi catturati dalle altre “cimici”.

Negli atti, infatti, emerge che venne effettuata una “bonifica” utilizzando una strumentazione tecnica “jammer”, grazie alla quale l’indagato pizzicò e disattivò un’altra microspia sistemata nell’altra sua vettura. Con lo stesso strumento, inoltre, il gruppo avrebbe disinnescato le “cimici” piazzate dai carabinieri in un locale del cimitero, utilizzato come “ufficio” da Buccoliero e nella casa di una delle indagate. Una “caccia” alle microspie che, però, non è servita ad arginare le indagini che l’altra mattina sono sfociate negli arresti. Ieri, intanto, hanno preso il via gli interrogatori di garanzia. I primi a sfilare dinanzi al gip sono stati gli indagati ai “domiciliari”. Stefano Russo, che è difeso dagli avvocati Giuseppe Cannarile e Armando Pasanisi, e Amerigo D’uggento, assistito dall’avvocato Pasquale Morleo, hanno deciso di avvalersi della facoltà di non rispondere. Stessa opzione per Cristian Urbano, assistito dall’avvocato Armando Pasanisi. Urbano, però, ha messo a verbale delle dichiarazioni spontanee con le quali ha motivato i contatti con uno degli indagati che gli sono contestati, con le esigenze di lavoro connaturate alla sua attività di commerciante di frutta. Oggi sono in programma, invece, gli interrogatori di garanzia degli indagati per i quali è stato decretato il carcere. I militari, inoltre, sono sulle tracce dell’unico indagato sfuggito alla retata. Si tratta di un brindisino ritenuto dagli investigatori tra i fornitori di stupefacenti del presunto sodalizio.

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