Omicidio del 21enne a Manduria: convalidati gli arresti. Hanno agito «con estrema spietatezza e ferocia»

Omicidio del 21enne a Manduria: convalidati gli arresti. Hanno agito «con estrema spietatezza e ferocia»
di Nazareno DINOI
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Venerdì 3 Marzo 2023, 07:42 - Ultimo aggiornamento: 20:57

I tre giovani manduriani presunti autori dell'omicidio del ventunenne di etnia Rom ma residente a Lecce, Natale Naser Bahtijari, hanno agito «con estrema spietatezza e ferocia, perciò con crudeltà». Reati che potrebbero ripetere oppure distruggere prove o fuggire.
Tutti i presupposti, quindi, per portare la giudice delle indagini preliminari, Rita Romano, a convalidare il fermo in carcere per Vincenzo D'Amicis di 20 anni, Domenico D'Oria Palma e Simone Dinoi, entrambi alla soglia dei 23 anni, e convalidare così l'arresto che era stato disposto con decreto del pubblico ministero dell'antimafia leccese, Milto Stefano De Nozza.

Sulla possibilità di reiterare il reato, la gip ha inquadrato l'omicidio non fine a sé steso ma come l'epilogo di una vicenda criminosa più ampia avente ad oggetto il traffico di sostanze stupefacenti.

E che pertanto sarebbe più che concreto il rischio di altri reati simili nonostante la incensuratezza di D'Amicis, e Dinoi e i piccoli precedenti di D'Oria Palma. Più che possibile, per la giudice, anche il rischio di inquinare le prove come i tre avrebbero già dimostrato di fare nel tentare di bruciare il cadavere, pensare di uccidere le due donne che avevano accompagnato a Manduria la vittima proveniente da Lecce e ad eliminare le tracce di sangue dall'interno dell'auto Renault Modus con la quale i tre manduriani avevano portato Natale Naser sul viadotto per finirlo.

L'udienza

Quanto al rischio di fuga, per la giudice i tre indagati non offrirebbero garanzia circa il rispetto di misure detentive differenti dal carcere, come i domiciliari con braccialetto di controllo. I due 22enni, ad esempio, sono stati fermati in un albergo della città messapica e non a casa delle rispettive famiglie, secondo gli inquirenti pronti a prendere il volo.

Al termine dell'udienza nel corso della quale i tre indagati assististi dagli avvocati Franz Pesare, Armando Pasanisi e Domenico Sammarco, hanno preferito non parlare e di avvalersi del diritto a non rispondere, la gip Romano ha confermato tutti i reati contestati come la cessione, acquisto, detenzione e trasporto di sostanza stupefacente; concorso in omicidio pluriaggravato; concorso in porto d'armi da punta e da taglio (questi ultimi due capi d'imputazione aggravati dal metodo mafioso) e tentata distruzione e/o soppressione di cadavere in concorso. Per D'Amicis e suo nonno Vincenzo Stranieri, di 63 anni, conosciuto nel mondo della malavita con lo pseudonimo di «Stellina», pesa anche il reato di concorso in rapina consumata pluriaggravata, anche questa con il metodo mafioso.

Anche per la giudice Romano, come per il pm De Nozza, il più giovane dei tre indagati, D'Amicis, avrebbe diretto il branco nell'azione punitiva sfociata nel sanguinario delitto. Questo in virtù della sua appartenenza alla famiglia Stranieri con al vertice «Stellina», già cofondatore della Sacra corona unita con il mesagnese Pino Rogoli e veterano delle carceri di tutta Italia dove è stato rinchiuso ininterrottamente per ben 38 anni, 30 dei quali con l'isolamento del 41bis. «D'Amicis scrive la giudice Romano si è mostrato in grado di assoggettare i suoi accoliti, fedeli esecutori delle sue direttive e dei suoi ordini», succubi di «una inquietante forma di rispetto nei confronti della famiglia Stranieri».

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