Niente più ergastolo all'omicida dell'ingegnere

Niente più ergastolo all'omicida dell'ingegnere
3 Minuti di Lettura
Lunedì 17 Ottobre 2016, 08:29 - Ultimo aggiornamento: 13:14

Nei giorni scorsi, l’assise d’appello ha mandato in archivio il secondo grado di giudizio a carico dell’omicida del-
l’ingegnere tarantino. E lo ha fatto riformando la sentenza emessa al termine del giudizio abbreviato dal gup Anna de Simone. L’assise d’appello ha eliminato il carcere a vita a carico di Cosimo D’Aggiano, che uccise Cataldo Pignatale a colpi di taglierino cutter nel luglio 2014. Riformando la sentenza di ergastolo, la Corte
ha inflitto 30 anni all’imputato, difeso dall’avvocato Fabio Falco, con un dispositivo che ovviamente la famiglia della vittima non ha gradito.

La Corte ha cancellato l’aggravante del concorso fra i reati di sequestro di persona e di omicidio, che erano stati commessi dall’imputato nel giro di poco tempo ai danni della vittima, la cui sorella si era costituita parte civile attraverso l’avvocato Angelo Dragone. In fase di requisitoria, il procuratore generale dottor Mario Barruffa aveva chiesto la conferma del primo grado.

La Corte ha mantenuto inalterata l’aggravante dei futili motivi alla base di una uccisione assurda e immotivata, tanto che lo stesso gup, l’1 ottobre 2015, in motivazione di sentenza (emessa il 10 luglio precedente) parlò di indole «crudele, malvagia» di D’Aggiano, e di totale «assenza di movente».
Dalle risultanze investigative era emerso che l’ingegner Pignatale si era imbattuto in D’Aggiano nei pressi di piazza Marconi. D’Aggiano sarebbe stato sotto «l’effetto di sostanze stupefacenti, assunte dieci minuti prima», e cercava disperatamente un passaggio per raggiungere l’abitato di Sava.
 

D’Aggiano, che vagava in quella zona della città a ridosso dell’ospedale Santissima Annunziata, approfittò del fatto che l’ingegnere tarantino, che in precedenza aveva lasciato la fidanzata nella sua abitazione di Lido Silvana, fosse arrivato in quel preciso momento nella zona per parcheggiare la sua auto.
Fu allora che D’Aggiano si infilò nell’auto, minacciando la sconosciuta vittima con un cutter affilato.
«Sono entrato da dietro. L’ho bloccato e mi sono fatto accompagnare all’Auchan», aveva raccontato l’imputato nel corso dell’interrogatorio reso al pm dottor Remo Epifani. In realtà, il tragitto all’Auchan fu passeggero: il centro commerciale era ormai chiuso. «A quel punto», aveva aggiunto D’Aggiano, «ci siamo diretti verso San Donato. E lungo la strada che conduce a Faggiano abbiamo girato la macchina in una stradina di campagna». Nella stessa stradina in cui il povero Cataldo troverà la morte.

© RIPRODUZIONE RISERVATA