Nuovi tesori emergono dal passato: il Castello Aragonese è una "miniera"

Nuovi tesori emergono dal passato: il Castello Aragonese è una "miniera"
di Francesca RANA
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Martedì 29 Maggio 2018, 05:30 - Ultimo aggiornamento: 11:56
Le sorprese, su 2000 anni di storia e vita al Castello Aragonese, costruito sull’antica Acropoli di Taras, non mancano mai e continuano ad affascinare prima gli archeologi, restauratori e ricercatori, poi i visitatori, italiani stranieri, arrivati a 45.000 in primavera, a conferma di risultati e numeri raggiunti nello stesso periodo l’anno scorso.
Le novità riguardano: teche di reperti trovati nello scavo stratigrafico; studio sulla funzione difensiva di un tunnel, a lungo ritenuto, a quanto pare erroneamente, un acquedotto; pulitura di reperti appena trovati e custoditi nel deposito ufficiale in rete con la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Lecce, Brindisi e Taranto; avanzamento di uno scavo in una vecchia falegnameria.
L’archeologo ufficiale, Federico Giletti, cura tutte queste fasi di studio e ricerca, necessarie ad una efficace valorizzazione architettonica e museale, insieme ad alcuni assistenti, e ieri mattina ha guidato Nuovo Quotidiano di Puglia nei percorsi, archeologico scientifico o turistico, in alcuni casi coincidenti e sempre più potenziati ed intrecciati.
Un frammento scultoreo marmoreo di donna è stato trovato in fondo ad un pozzo usato nel XIV secolo dopo Cristo, ed è stato esposto insieme ad antefisse e coroplastiche, risalenti al VI o V secolo avanti Cristo, sistemate in due vetrine su quattro, in allestimento nella Galleria di Levante: «Le arricchiremo con materiali trovati in loco, fino ad oggi inediti - spiega - abbiamo deciso di mostrarli ai visitatori. Sono testimonianze di vita molto interessanti. Le antefisse si trovavano in tetti qui o nelle vicinanze. Le statuine raffigurano divinità, situazioni, di periodi antichi ed ellenistici. Abbiamo trovato un’ala di Erote, le ali di una Sfinge, e, soprattutto, il seno sinistro di una statua, risalente al III secolo a.C, realizzato in marmo di Paros. Sicuramente, si trovava sull’Acropoli nel periodo ellenistico, tra l’avvicendamento di greci e romani».
Negli anni, la ricerca è stata sospesa e ripresa ed ora finalmente è stato possibile rileggere il significato di primissime scoperte architettoniche ed archeologiche, coerenti con la costante destinazione militare e difensiva, nei secoli, in armonia con conoscenze su altri luoghi mediterranei relativamente ad assedio e difesa.
 
«Altra testimonianza è un cunicolo, un tunnel funzionale al camminamento di truppe. Oltre ad avere la dimensione di 1,75x65 cm, è ogivale. Ha la forma di uno scudo, il thyreos. Significava porta in greco ed aveva la doppia valenza di difendere il milite all’intero e bloccare il passaggio nel condotto, a misura. Era usato nel periodo ellenistico. Le tecniche greche erano ormai globalizzate ed appannaggio di tutte le popolazioni mediterranee. La valenza militare era prevalente, attestata e fu amplia quando i romani sono arrivati a riorganizzare l’Acropoli». In quel momento, i suoi collaboratori, militari o civili, Antonino Modafferi, Sergio Taurino e l’archeologo Roberto Ferretti, sistemavano i reperti nel deposito e studiavano metalli, rivenuti nell’Ala Settentrione in molti casi: «Il coltellino in bronzo risale al Bronzo finale, la punta di lancia è tipica romana, in dotazione alle truppe, si innestava alla parte lignea con lacci di cuoio. È ritorta ed in disuso a fini di rifusione. Si può solo ipotizzare uno scopo cultuale. Risale al III secolo avanti Cristo ed arricchisce gli aspetti militari legati alle strutture. Un riscontro analogo riguarda Punta Rondinella».
L’ultimo scavo archeologico è iniziato tre mesi fa e, proprio durante la documentazione in anteprima nel tratto sud orientale, il sottufficiale in congedo, Antonio Vinella, ormai volontario e storico punto di riferimento in questa avvenuta stratigrafica, aveva appena trovato una moneta, non ancora recuperata, ripulita e studiata: «Sono stati rimossi i pavimenti ed è stato possibile rintracciare la sequenza nei piani di calpestio, fino a mettere in luce il primissimo livello di frequentazione, un battuto terroso, in fase con la realizzazione aragonese, intorno al ‘500. Si confermano quote di altri saggi di scavo, 80/90 centimetri sotto terra».
 
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