Mancano i medici, la Asl li assume dall'Albania

Mancano i medici, la Asl li assume dall'Albania
di Nazareno DINOI
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Lunedì 1 Agosto 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 12:47

La Asl di Taranto non sa più dove bussare per cercare nuovi medici e così ricorre all’estero. Arriveranno dall’Albania i primi camici bianchi che avranno il compito di coprire l’emergenza che si è venuta a creare all’ospedale Marianna Giannuzzi di Manduria, punto più debole della sanità ionica, mai così vicino al collasso. 

L'arrivo

Questa mattina è previsto l’arrivo del primo medico albanese destinato al pronto soccorso del presidio della città messapica. Si tratta di uno specialista in medicina d’urgenza laureato nel Paese delle aquile che lavora al dipartimento di emergenza urgenza dell’ospedale di Tirana. Farà parte dei primi quattro dottori stranieri, tutti albanesi appunto, ingaggiati dalla Asl di Taranto per tappare i buchi dell’organico. Conoscitori della lingua italiana, la loro missione è stata concordata, anche sotto l’aspetto logistico ed economico, tra l’azienda sanitaria di Taranto e l’autorità sanitarie albanese. Da completare ancora la parte burocratica del loro status di stranieri in Italia le cui competenze sono affidate alle strutture della Prefettura e dell’ufficio immigrazione che per ora ha concesso il permesso di soggiorno per lavoro al primo medico il cui arrivo è previsto per oggi. 
Naturalmente prima di raggiungere la necessaria autonomia e padronanza dei percorsi assistenziali, saranno affiancati dai medici del pronto soccorso il cui organico è sceso a quattro unità a fronte di una forza lavoro prevista di almeno 13 medici oltre al primario.

Stessi organici ridotti anche in tutti gli altri reparti del Giannuzzi con la situazione limite dell’ortopedia dove operano solo due specialisti e uno specializzando o i tre chirurghi per la chirurgia, i quattro medici in medicina e due in radiologia.

«Aiuto non risolutivo»

Per questo l’aiuto albanese viene considerato non risolutivo. In tutto l’ospedale sono in servizio solo 25 medici che devono assicurare l’assistenza in quattro reparti di media assistenza come medicina, chirurgia, ortopedia, nefrologia, una rianimazione e due servizi fondamentali come la radiologia e il pronto soccorso con 9 posti letto dedicati al Covid più un’astanteria per i ricoveri brevi di almeno altrettanti letti (in questo periodo sempre pieni sia una che l’altra sezione). Primari, poi, come mosche bianche perché da anni non si fanno concorsi. Ad eccezione del pronto soccorso, unico servizio ad avere un primario effettivo in pianta stabile, tutti gli altri reparti sono affidati a facenti funzione.

Il medico stroncato da un infarto 

Uno di questi era l’internista Giovanni Buccoliero, stroncato da un infarto il 21 luglio scorso mentre era in servizio nel reparto di medicina, la cui tragica fine ha acceso i riflettori della politica e dei sindacati e anche della magistratura che indaga sui carichi di lavori troppo serrati che potrebbero essere stati fatali per il medico deceduto. I sindacati, da parte loro, oltre ad essere preoccupati per la salute del personale, lanciano l’allarme sulla qualità dell’assistenza ritenuta in certi casi «non in grado di assicurare i minimi livelli essenziali». Scarsi anche gli organici degli infermieri e degli operatori di supporto, come le figure socio sanitarie, entrambi adibiti spesso a funzioni improprie per evitare il collasso del sistema e l’interruzione del servizio. Ipotesi questa che comincia a non essere esclusa.
L’impoverimento dei servizi del Giannuzzi, nel silenzio delle autorità politiche, è iniziato con la chiusura del reparto di ostetricia e ginecologia a cui ha fatto seguito la neonatologia e quindi l’Unità di terapia intensiva cardiologica e la cardiologia. Questo ha permesso un declassamento del Giannuzzi ad ospedale di base che ha portato man mano a dimezzare i posti letto dei reparti rimanenti e alla continua emorragia di medici che hanno preferito posti più sicuri e appaganti professionalmente. Quadro completato dai pensionamenti senza sostituzioni.

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