«Lavoro a Pechino e non posso tornarci»: la storia di Christian, “prigioniero” a casa sua

«Lavoro a Pechino e non posso tornarci»: la storia di Christian, “prigioniero” a casa sua
di Alessio PIGNATELLI
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Lunedì 17 Febbraio 2020, 10:00
«Al momento sono bloccato qui, non so cosa succederà a breve, ma sono fiducioso. In Cina ci dovrò tornare perché ho un lavoro che mi serve a pagare il mutuo. È una situazione complessa, molto instabile ma mi auguro si risolva tutto». C'è anche un tarantino invischiato nelle conseguenze del coronavirus. Christian Rossi vive a Pechino da tre anni, lavora in un'azienda nell'ambito della consulenza e del tutoraggio. Era tornato in Italia il 19 gennaio per le consuete ferie nel periodo del Capodanno cinese. Come sempre, il paese del Dragone si ferma per festeggiare e gran parte delle imprese chiude. Insomma, una normale vacanza nella propria città per rivedere i propri cari approfittando del blocco delle attività. «Ignaro di tutto, però. Solo quando sono arrivato a casa ho scoperto dai telegiornali italiani di questo virus. Posso assicurare che lì era tutto ovattato e forse questo è stato uno dei problemi principali».

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Di una nazione che comunque ha accolto bene il trentanovenne tarantino. Se non altro, al di là di tutte le differenze culturali che si riflettono nella quotidianità, la Cina gli ha offerto l'opportunità che il Belpaese non ha dato.
«Lavoravo nella sede tarantina di Vestas all'ufficio del personale - racconta Christian - poi c'è stata la nota vicenda della chiusura (il colosso dell'eolico decise di fermare il ramo produttivo delle turbine ndc) e ho provato a inviare il curriculum dappertutto. Sono laureato in lingue, per un paio d'anni sono stato freelance e ho conseguito diverse certificazioni. Ma avevo bisogno di qualcosa di più stabile e dall'Italia nessuna risposta».

Un giorno, un'inserzione online alla quale risponde quasi per gioco. «Senza grandi speranze, risposi a un annuncio di lavoro di un'azienda di insegnamento della lingua inglese a Pechino. Mi risposero il giorno successivo, poi tre colloqui via Skype: ero stato assunto». Una trafila di cinque mesi per le varie documentazioni da ottenere e a maggio del 2017 inizia l'avventura nella megalopoli d'Oriente. Quasi 25 milioni di abitanti, abitudini completamente differenti. «Quello che mi colpì maggiormente era il gigantismo. La strada più piccola ha minimo cinque corsie, è destabilizzante. E poi le normali azioni della quotidianità radicate profondamente nella loro cultura. Faccio un esempio: sono ossessionati dalla sicurezza, c'è un tentativo di controllo sui vari account di Wechat (è il social media più utilizzato in Cina ndc). Chi diffonde notizie poco rassicuranti, non è raro venga oscurato».

A fare da contraltare a questa necessità di verifiche e controlli, ci sono alcune pratiche che affondano nella tradizione e possono suscitare quantomeno perplessità nella visione occidentale. «In questo periodo molti amici mi inviano diversi video virali dei tipici mercati dove si trova un po' di tutto. Mi chiedono se sono reali. Nella capitale non si assiste a certe scene ma nello sconfinato territorio cinese, in effetti, mi è capitato di vedere alcune cose strane. Per esempio, macerano la grappa di riso in contenitori con cuccioli di animale».

Al di là di queste diversità e della distanza dai suoi affetti, la vita di Christian è soddisfacente. Tra gli oltre 200 colleghi, diversi sono europei. Anche sei italiani. Poi, quasi un mese fa, cambia tutto. «Arrivo in Italia e sento le prime notizie di questa epidemia. Pensavo a una semplice influenza, non ci avevo dato peso visto che in Cina non era emerso nulla. Col passare del tempo si inizia a parlare di quarantena ed è un susseguirsi di incertezze. Sarei dovuto ripartire il 3 febbraio: ho spostato inizialmente il volo al 15. La compagnia con cui viaggio, Turkish Airlines, ha poi cancellato tutti i voli. Il governo cinese, inoltre, ha ordinato diverse chiusure. Ovviamente, rispetto a Wuhan ci sono 1.300 chilometri di distanza ma ora si sta cercando di usare la massima prudenza. Le scuole, per esempio, fanno lezioni online. La mia azienda non ha più aperto dopo le festività, ufficialmente ci è stato comunicato che si sta pianificando per ottemperare alle disposizioni. Per tutti è una situazione nuova. E non sappiamo nemmeno cosa ne sarà dei nostri stipendi futuri».

Insomma, lo stallo è totale. E diversi interrogativi sul futuro: «Con i colleghi italiani ci teniamo in contatto, sono tornati anche loro nelle proprie case di Milano, Livorno, Putignano. In Cina ho un lavoro che mi consente di vivere e rispettare le scadenze. È chiaro che se l'Italia mi offrisse le stesse opportunità, resterei più che volentieri. La speranza c'è sempre. Ma purtroppo la realtà è un'altra e l'ho già vissuto sulla mia pelle».
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