L'intervista/Melucci: «Ex Ilva? Un modello di fabbrica inconcepibile. In futuro diverrà residuale»

L'intervista/Melucci: «Ex Ilva? Un modello di fabbrica inconcepibile. In futuro diverrà residuale»
di Alessio PIGNATELLI
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Venerdì 18 Novembre 2022, 05:00

«Desidero innanzitutto ringraziare il neo ministro Adolfo Urso per la sensibilità che subito ha dimostrato verso la comunità jonica e il suo sistema di imprese. Una posizione opposta rispetto a quella di chi ha scelto di chiudere bruscamente con le imprese dell’indotto».
Il sindaco di Taranto - nonché presidente della Provincia jonica - Rinaldo Melucci già di recente aveva utilizzato termini forti contro ArcelorMittal. Aprendo contestualmente a una collaborazione istituzionale col governo, sperando in una gestione maggioritaria nella società il prima possibile.

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Sindaco, nella vicenda ex Ilva si sono alternati ormai innumerevoli ministri: quali sono le prospettive oggi?
«Questo è un dossier complesso che va ben oltre la mera vertenza occupazionale, per quanto delicata e urgente.

Comune e Provincia di Taranto saranno lealmente a disposizione del Governo, all’interno di un processo che abbia all’interno una valutazione corretta delle implicazioni ambientali, sanitarie, energetiche, urbanistiche, in generale delle ricadute per la città. Occorre modificare finalmente l’intero paradigma, sarà un vantaggio per la stessa industria nazionale».

Il nodo principale resta il complicato equilibrio tra salute, ambiente e lavoro.
«Se il Paese ha bisogno dell’acciaio dell’ex Ilva, nel quadro degli scenari Ue, è arrivato il momento che ne discuta con senso di responsabilità e coraggio con la città di Taranto. Sarà mia premura chiedere presto udienza al ministro per rafforzare le proposte già elaborate dal livello regionale, nella direzione della decarbonizzazione del sito».

Lei ha sempre ritenuto “eccessiva” la fabbrica: un’Ilva senza area a caldo, ma solo con la lavorazione a freddo, potrebbe essere più funzionale e sostenibile?
«Un’Ilva più piccola, che arretri rispetto alla città e al porto, che investa finalmente nella mitigazione della sua impronta ambientale è il modello del quale parliamo da sempre: l’area a caldo, così com’è concepita ora, non è più sostenibile per la città che ospita il più grande impianto siderurgico d’Europa. Per questo insistiamo sul tema della decarbonizzazione, delle fonti energetiche alternative, sull’uso dei forni elettrici anche a costo di rivedere i livelli produttivi e tutto ciò che ne consegue, perché siamo in linea con le politiche europee di settore. Solo con questa prospettiva, che prevede un drastico abbattimento delle emissioni, possiamo immaginare un futuro per l’impianto; diversamente, no».
 

Quando i Mittal vinsero la gara qualcuno immaginò che potesse trattarsi di un’acquisizione di quote di mercato: a diversi anni dalla loro presenza ritiene che fosse questo il piano?
«Posso dire con estrema certezza che non si sono mai preoccupati di instaurare con Taranto un rapporto leale. Se questo, poi, fosse funzionale a una prospettiva di quel genere, non possiamo saperlo. È evidente, tuttavia, che la scarsa propensione agli investimenti in ambientalizzazione e la progressiva distanza presa dalla città e dal sistema produttivo, di cui vediamo gli effetti in questi giorni, è un chiaro segnale di disinteresse per Taranto. Ecco perché una riconversione seria, che tenga conto di tutto quel che abbiamo illustrato, può essere prerogativa solo di un soggetto pubblico».
Nel nuovo paradigma della città c’è spazio per Ilva nel futuro?
«Esiste spazio solo se l’impianto si convertirà a quel modello che abbiamo già descritto. Sarà uno spazio sempre più residuale, certo, perché la città ha ormai iniziato la virata verso la diversificazione economica. Il futuro di Taranto guarda alla blue economy, alle energie rinnovabili, al turismo, alla portualità non più ingessata dai traffici industriali: l’ex Ilva, come qualsiasi altro insediamento industriale, sarà tra queste opzioni solo se sostenibile rispetto alle previsioni del nostro piano di transizione “Ecosistema Taranto».
 

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