«Io, messaggero d'amore tra pazienti ho scelto di passare al reparto Covid»

«Io, messaggero d'amore tra pazienti ho scelto di passare al reparto Covid»
di Lucia J. IAIA
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Sabato 28 Marzo 2020, 14:07 - Ultimo aggiornamento: 14:13
Non sa bene a che ora terminerà il suo turno oggi. E, quando riusciamo a metterci in contatto con lui, è abbastanza provato. Marco Spinelli è un infermiere di Sava che, dal 2009, lavora in Lombardia nell'azienda sociosanitaria territoriale Dei Sette Laghi di Varese. Ha 35 anni e, nonostante la decennale esperienza sul campo, non avrebbe mai immaginato di trovarsi proprio nell'occhio del ciclone. Nella sua struttura sanitaria ben 351 sono i posti letti dedicati al Covid 19. Da qualche giorno tra l'altro, lui stesso ha chiesto di essere spostato dal reparto di chirurgia vascolare a quello di malattie infettive.
La prima domanda è d'obbligo. Come sta?
«Siamo tutti sottoposti ad una grandissima pressione. Porto ormai i segni della mascherina sul viso e si fa anche fatica a respirare sotto questa imbracatura. Per fortuna però possediamo almeno il minimo dei dispositivi necessari a proteggerci. Io vivo da solo e la mia vita attuale si svolge solo ed esclusivamente in rapporto al mio lavoro. Non posso fare altro. Come tutti, ho nostalgia della libertà, ma occorre avere pazienza».
Come mai ha chiesto di cambiare reparto, scegliendo poi quello anche più a rischio per la Sua salute?
«Le ragioni sono diverse. La principale però, è quella di aver sentito dentro la necessità di dare una mano dove c'è più bisogno. Ognuno di noi deve fare la propria parte e noi infermieri abbiamo il dovere di prestare tutte le competenze che possediamo».
A proposito di sensibilità e generosità, lei è considerato, da qualche settimana, il cupido dell'ospedale. Potrebbe spiegarci meglio?
«Semplicemente, ho proposto a un paziente ricoverato in quel momento in chirurgia vascolare di scrivere una lettera per la propria moglie, purtroppo anche lei allettata però in oncologia. È stato uno strano momento. Lui era molto triste perché da giorni non aveva modo di vederla. Era preoccupato, quasi piangeva. Così, gli ho portato un foglio e una penna, invitandolo a scrivere qualcosa per la sua amata. Dopo, sono andato a cercarla e le ho recapitato il messaggio. Si è commossa e non smetteva di ringraziarmi. È stato molto toccante».
A quanto pare lei però non è nuovo a questo genere di iniziativa.
«In effetti, provo ad alleviare con piccoli gesti le grandi sofferenze che vedo intorno a me. L'altro giorno, mi sono occupato di due pazienti, marito e moglie, entrambi affetti da Covid 19. Si trovano nella stessa camera ma in due letti separati da un tavolino. Entrambi indossano caschi c-pap e dunque non riescono nemmeno a vedersi. Ho notato che lui era particolarmente, agitato, a tal punto da voler rimuovere il dispositivo che gli consente di respirare. Ho cercato di capire quale fosse il problema. Voleva semplicemente bere e così l'ho aiutato a farlo. Poi, ho pensato di avvicinare per un po' i letti dalla parte dei piedi. In questo modo, l'uomo e la donna si sono rivisti ed hanno cominciato a piangere. Una grande emozione anche per me».
Da dove nasce questa sua capacità di parlare direttamente al cuore degli ammalati?
«Credo derivi dalla mia attuale situazione sentimentale, paradossalmente, in piena tempesta. Sto attraversando un periodo negativo e forse per questo presto maggiore attenzione all'amore. Mi piacerebbe che anche Francesca, mia collega presso l' ospedale Carlo Poma di Mantova, riflettesse su ciò che ha unito i nostri cuori. Le distanze si possono colmare, sempre e comunque. Siamo tutti messi a dura prova in questo momento, ma se smettiamo di credere all'amore, quando tutto sarà finito ci ritroveremo ad essere persone aride e distanti. Non vorrei che questo accadesse a me e tutte le persone che mi circondano».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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