Ilva di Taranto: chiesta in appello la revoca della confisca del siderurgico

Una delle udienze del processo "Ambiente svenduto" a Taranto
Una delle udienze del processo "Ambiente svenduto" a Taranto
di Domenico PALMIOTTI
4 Minuti di Lettura
Venerdì 13 Gennaio 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 06:49

Revoca della confisca degli impianti siderurgici e mancanza della responsabilità amministrativa per Ilva in amministrazione straordinaria. Sono due dei cinque motivi posti a base dell’atto di 112 pagine, depositato ieri, con cui gli avvocati Angelo Loreto e Filippo Dinacci impugnano in appello, per conto della stessa Ilva in as, la sentenza di fine maggio 2021 della Corte d’Assise di Taranto. Ilva in as è la proprietaria degli stabilimenti dati in fitto ad Acciaierie d’Italia. 

Il processo "Ambiente Svenduto"


Le motivazioni del collegio d’Assise sono uscite il 29 novembre e i 45 giorni concessi alla difesa per l’appello sono ormai in scadenza. Il processo di secondo grado potrebbe partire presumibilmente in autunno. «Sulla responsabilità amministrativa in base al decreto legislativo 232 del 2001, evidenziamo - spiega a Quotidiano l’avvocato Loreto - che Ilva non aveva alcuna autonomia, nè potere decisionale.

Gli uffici finanziari erano nella capogruppo Riva Fire, suo anche il sistema di controllo, che definiamo pervasivo ed onnicomprensivo, e i flussi di cassa andavano alla controllante. È stato riconosciuto nel 2015 dalla Corte d’Appello di Milano e nel 2016 dalla Corte di Cassazione anche in altro procedimento, quello relativo al reato di truffa aggravata per i contributi all’export con la legge Ossola».

Impianti confiscati: la richiesta dei legali di Ilva in As

Sulla revoca della confisca degli impianti, rileva Loreto, «sosteniamo che il quadro complessivo della fabbrica oggi è profondamente diverso. C’è un nuovo gestore, il piano ambientale è vicinissimo al completamento, non c’è un pericolo concreto e attuale e i meccanismi di controllo sono più efficaci. Prova ne è che mesi addietro il ministero dell’Ambiente ha fatto fermare la batteria 12 perchè non ancora a norma». Per gli avvocati, «nel corso degli anni successivi al sequestro, gli esiti delle indagini ambientali e delle attività ispettive condotte dagli enti pubblici di controllo hanno escluso superamenti dei limiti emissivi fissati dalla cornice normativa di settore; univoci in tal senso gli esiti delle indagini sulla qualità dell’aria. In buona sostanza, non sono mai affiorati indici di rischio per la collettività e per l’ambiente, neppure allo stadio potenziale». Tuttavia «questi elementi non sono stati ritenuti presupposti sufficienti ai fini della restituzione degli impianti in sequestro al legittimo proprietario, Ilva in as».

E quindi, per i legali, «la Corte d’Assise sembra orientarsi nella logica utopistica dell’azzeramento del rischio, piuttosto che in quella ordinaria (e, sia consentito, ortodossa) del rischio consentito». Inoltre, proseguono, la sentenza ha anche applicato la sanzione accessoria della confisca per equivalente del profitto da illecito amministrativo per 2,100 miliardi. Calcolato su «un ipotizzato risparmio di spesa stimato con molta approssimazione da parte del custode giudiziario Barbara Valenzano» quando dal dibattimento è emerso che «il risparmio di spesa riferibile alle imputazioni si sostanzierebbe in 1,327 miliardi» per «le prescrizioni di adeguamento impiantistico finalizzate a prevenire i fenomeni emissivi contestati». Ma, rilevano i legali, con la transazione «la precedente proprietà» dei Riva «ha restituito ad Ilva un importo pari ad 1,442 miliardi di euro. Ben si comprende quindi come il soggetto danneggiato, lo Stato, abbia già ricevuto dalla precedente proprietà l’equivalente del preteso risparmio di spesa». 

L'appello dei Riva


E intanto anche Fabio e Nicola Riva, ex proprietari e amministratori dell’Ilva, hanno depositato, tramite i propri legali Luca Perrone e Pasquale Annicchiarico, appello contro le condanne rispettivamente a 22 e 20 anni di reclusione ricevute in primo grado nel processo “Ambiente svenduto”.
Nell’atto di appello per Fabio Riva sarebbe stata riproposta l’eccezione di illegittimità costituzionale in merito al reato di «disastro innominato». I legali avrebbero inoltre evidenziato gli investimenti svolti dal gruppo Riva per interventi di natura ambientale pari ad oltre un miliardo di euro.

© RIPRODUZIONE RISERVATA