Il Comune di Taranto vuole le aree portuali non usate da Acciaierie d'Italia

Gli impianti marittimi dell'ex Ilva
Gli impianti marittimi dell'ex Ilva
di Domenico PALMIOTTI
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Sabato 22 Aprile 2023, 06:00

Non c’è solo il Comune di Genova che chiede all’ex Ilva, ora Acciaierie d’Italia, la restituzione alla città di una parte delle aree portuali perché mentre l’azienda non le utilizza, o le utilizza molto parzialmente, ci sono invece imprese e attività economiche che potrebbero (e vorrebbero) insediarsi se quelle aree fossero libere. Anche il Comune di Taranto, col sindaco Rinaldo Melucci, ha fatto all’Autorità portuale analoga richiesta.

L'istanza

«È stata avanzata un’istanza formale quasi due anni fa - spiega a Quotidiano il presidente dell’Authority, Sergio Prete - ed è stato anche effettuato un primo esame.

Non si è però dato alcun corso perché prima di procedere ad una eventuale rivisitazione delle aree portuali in uso all’ex Ilva, dobbiamo anzitutto capire quale è il nuovo piano industriale dell’azienda, come si svilupperà la decarbonizzazione della produzione di acciaio, quali saranno le necessità logistiche, e infine bisognerà procedere in modo condiviso. Con un confronto con la società». AdI occupa attualmente un pezzo rilevante dell’area portuale. «Sono quattro sporgenti più le aree asservite - dichiara Prete - un compendio pensato per una produzione sino a 12 milioni di tonnellate di acciaio». 

I numeri


Oggi, invece, i numeri produttivi dell’ex Ilva sono notevolmente più bassi. E anche di impianti ne funzionano meno: dei tre altiforni, per esempio, il 2 è fermo da luglio, anche se ci circolano ipotesi che parlano di una ripartenza a maggio mentre l’azienda ha parlato di fine anno e per un solo trimestre. In quanto alla produzione, i numeri forniti da AdI, quando ha avviato la procedura per il rinnovo della cassa integrazione straordinaria per 3.000 dipendenti di cui 2.500 a Taranto, dicono che come acciaio solido, cioè bramme, si è avuta una produzione di 3,471 milioni di tonnellate nel 2022, di 4,053 del 2021 e di 3,421 milioni nel 2020. Solo che quest’ultimo è stato l’anno del Covid, che fu di fermata pressoché generale per l’economia e per l’industria, mentre i due anni successivi il motore ha ripreso a girare ovunque. Ma non nel siderurgico. In decrescita anche la produzione di coils a caldo: è stata di 2,849 milioni di tonnellate nel 2022 contro i 3,811 milioni del 2021. Quest’anno l’azienda ha annunciato che produrrà 4 milioni di tonnellate. Dato da verificare più in la nel tempo considerato che pure l’anno scorso per più mesi, nella prima parte dell’anno, l’ex Ilva disse che avrebbe prodotto 5,7 milioni di tonnellate, smentendo quanti provavano a dire il contrario. Poi, però, le cose sono andate diversamente e l’obiettivo dei 5,7 milioni non è stato affatto centrato. Inoltre, se vediamo il movimento delle rinfuse solide, i minerali che alimentano la fabbrica, i dati dell’Authority dicono che lo scorso anno sono stati movimentati 7,944 milioni di tonnellate, il 18,7 per cento in meno del 2021, che nel 2020 sul 2019 c’è stato -9,6 per cento e che anche il primo anno dell’era Mittal, il 2019, ha visto un calo del 12,7 per cento sul 2018. Si è lontanissimi - anche per ragioni ambientali e di contrasto all’inquinamento ovviamente - dal 2011 e dal 2012, quando il movimento di rinfuse solide fu pari, rispettivamente, a 21,540 e 20,513 milioni di tonnellate. E il 2023? L’ultimo dato disponibile, febbraio, segna -5 per cento sullo stesso mese del 2022. Se la situazione migliorerà è da vedersi, ma sulla base di questi dati è possibile aprire un discorso sul restringimento delle aree portuali date all’ex Ilva?

A Genova


Se il buongiorno si vede dal mattino, la risposta è no. A Genova, come riporta Il Secolo XIX, l’ad Lucia Morselli ha dichiarato: “Sappia la città di Genova che non siamo disposti a concedere nemmeno un millimetro di queste aree. Per noi sono strategiche nell’imminente rilancio produttivo del siderurgico di Taranto. Non siamo disposti a concedere nemmeno un millimetro delle aree perché ci servono”. E ancora, ha detto l’ad Morselli a Genova, “sono alla guida di questa società da quattro anni e abbiamo attraversato difficoltà di tutti i tipi. I Governi che si sono succeduti, il Covid, la guerra, la questione energetica. Quattro anni di difficoltà non si risolvono in una settimana, ma oggi siamo pronti al rilancio. Non vi chiedo di fidarvi, ma di valutare ciò che faremo”. 
Dichiarazioni dure quelle della Morselli, se non altro perché sembrano precludere la ricerca di ogni possibile intesa o mediazione col Comune di Genova che ha chiesto parte delle aree. Ma anche dichiarazioni che paiono contraddire quanto la stessa Morselli ha dichiarato e cioè che lei è l’ad di tutta l’azienda, anche della parte pubblica e non solo di quella che fa capo al privato Mittal. Ma se lo Stato è azionista di AdI con Invitalia, può allora l’azienda sbarrare così la strada ad un Comune che è un pezzo dello Stato, anzi è il primo avamposto dello Stato sui territori? E Morselli non aveva detto a Taranto che l’azienda è ospite della città e della regione? 
Marco Bucci, sindaco di Genova ed esponente del centrodestra, ha commentato: «Se decidiamo, con la Società per Cornigliano, che le aree ex Ilva vanno da un’altra parte, l’amministratore delegato di Acciaierie d’Italia deve accettarlo. Anche perché l’azienda non sta rispettando l’accordo di programma che prevede l’impiego di 2.200 lavoratori e investimenti per 700 milioni: numeri che non abbiamo visto, non ci sono “Noi vogliamo - ha proseguito il sindaco Bucci - che le acciaierie siano a Genova e siano competitive, ma se dobbiamo difendere il lavoro, ogni metro quadro disponibile deve dare ricchezza alla città. L’amministrazione comunale deve spingere affinché ci siano risorse adeguate. Se non arrivano, si libera spazio per altre realtà che possono essere più produttive». Bucci è stato chiaro nel rispondere all’ad Morselli. E forse da Genova è ripresa un’altra battaglia che, prima o poi, si estenderà anche a Taranto. 

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