Guarito dal Covid, ma ancora in coma. Il calvario del sindaco di Avetrana

Guarito dal Covid, ma ancora in coma. Il calvario del sindaco di Avetrana
di Nazareno DINOI
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Venerdì 16 Luglio 2021, 10:39 - Ultimo aggiornamento: 17 Settembre, 11:26

«Aiutateci a trovare un posto letto per nostro padre che ha bisogno di assistenza specialistica in un centro di riabilitazione neurologica, in tutta Italia non se ne trovano». È il disperato appello delle figlie del sindaco di Avetrana, Antonio Minò, da due mesi ricoverato nella rianimazione dell'ospedale di Manduria, colpito dagli esiti del Covid che si sono drammaticamente complicati.

Il virus poi il coma

Il 61enne aveva contratto il coronavirus durante la fase più acuta della pandemia nella provincia di Taranto e nel suo comune. Aveva presentato i sintomi in maniera lieve e dopo una settimana di terapia domiciliare era stato ricoverato nel reparto Covid del pronto soccorso e da lì trasferito dopo qualche giorno in rianimazione dove ha avuto una serie di complicanze dalle quali è uscito vivo grazie alla tempestività e alla bravura dei sanitari che lo hanno riportato in vita in più occasioni. Ora si è negativizzato dal Covid, ma è in coma semicosciente, respira grazie alle macchine ed ha bisogno di assistenza neurologica intensiva in un centro per risvegli, indisponibile in tutta Italia.

L'appello delle figlie


«Attraverso i medici della rianimazione - raccontano le figlie del sindaco - ci siamo rivolte a tutti i centri pugliesi, sia privati che pubblici, che ci hanno chiuso la porta; abbiamo cercato disponibilità anche all'ospedale di San Giovani Rotondo, al Policlinico di Bari, al centro risvegli di Crotone e di Imola, persino all'Istituto Clinico Humanitas di Milano, ma nessuno è stato disposto ad aiutarci». La famiglia Minò si rivolge alle autorità sanitarie e politiche della Regione e a tutti coloro i quali potrebbero fare qualcosa per liberare un posto. «Non chiediamo un privilegio per il ruolo che ricopre nostro pare sottolineano le figlie -, chiediamo solo che come qualsiasi cittadino anche lui abbia il diritto alla sopravvivenza e alle cure così come è sancito dalla Costituzione e dalle leggi dello Stato e del Signore». Un diritto che da quasi un mese, da quando cioè i rianimatori del Marianna Giannuzzi hanno concluso il loro compito stabilendo la necessità di un trattamento intensivo specifico, gli viene di fatto negato. «I medici che lo hanno in cura e che non finiremo mai di ringraziare per tutto quello che hanno fatto e continuano a fare per il nostro papà -, dice Sabrina, la figlia più piccola del primo cittadino sono stati chiari con noi, hanno detto che il tempo trascorso in quelle condizioni non fa che allontanare di più una possibile ripresa». Che sarà più difficile da raggiungere quanto più lungo sarà il tempo di questa assurda attesa di un posto letto. «Un paziente non può stare tanto tempo senza un percorso terapeutico che gli spetta di diritto per una mancanza della sanità pubblica», aggiunge Stefania, la più grande delle figlie che con la madre Anna Rita seguono quotidianamente il decorso della malattia causata dal coronavirus facendosi anche carico di gestire gli affari di famiglia.
A rendere difficoltoso l'inserimento del paziente in un centro di neuroriabilitazione intensiva, sono le sue particolari condizioni. «Chi ci dice che non lo può prendere perché fa dialisi e chi invece si rifiuta perché è ancora attaccato a un respiratore, ma nostro padre giorno per giorno mostra segni di ripresa, ci riconosce e comincia a muovere gli arti e ad emette dei suoni, cosa vogliono di più?, che si alzi da solo e bussi alla porta del reparto?», si sfogano le donne stremate e sconfortate da tanti rifiuti. «Vorremmo sbagliarci, ma abbiamo il sospetto che i motivi siano di altra natura e che i rifiuti rispondano ad interessi che cozzano con quel diritto alla salute che soprattutto il sistema sanitario pubblico deve garantire a chiunque», dichiarano ancora i familiari di Minò, vittima della pandemia ed ora anche di un sistema che evidentemente non funziona.

Il cluster nel comune tarantino


Il sindaco ha contratto il virus quando non era ancora stato vaccinato (la sua età non lo permetteva), nel periodo in cui Avetrana registrava il numero di positivi più alto di tutta la provincia di Taranto.

Con 6.700 abitanti, gli infettati erano 147 ed altri 71 in isolamento fiduciario domiciliare o in attesa di tampone. Cifre impressionanti rapportate al numero di residenti: 219 avetranesi su diecimila erano positivi al Covid, tra le percentuali più alte, allora, dell'intera regione. Per questo il vicesindaco Alessandro Scarciglia, sindaco reggente del piccolo comune, decise in quel periodo di blindare il paese vietando gli ingressi, chiudendo tutte le scuole e persino impedendo l'uso della piazza principale e di tutti i luoghi di aggregazione del paese.

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