Uccise la sua compagna: condannato all’ergastolo l’uomo di Villa Castelli. Sparò alla ragazza che aspettava un figlio

Uccise la sua compagna: condannato all’ergastolo l’uomo di Villa Castelli. Sparò alla ragazza che aspettava un figlio
di Lino Campicelli
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Mercoledì 25 Novembre 2015, 19:08 - Ultimo aggiornamento: 10:25
Ergastolo all’omicida con isolamento diurno per due mesi e misura di sicurezza per la durata di tre anni a pena espiata. La sentenza emessa ieri dalla Corte d’assise di Taranto (presieduta dal giudice Michele Petrangelo, a latere giudice Fulvia Misserini) non ha lasciato scampo alcuno a Beniamino Ligorio, 34enne di Villa Castelli. L’uomo è stato condannato al carcere a vita per il caso di femminicidio. La Corte ha aderito in toto alle richieste formulate dal pubblico ministero inquirente Marina Mannu e dai rappresentanti della parte civile (avvocati Antonella Demarco e Gaetano Di Marco), che avevano pigiato sull’acceleratore, lungo la tesi della particolare crudeltà dell’evento avvenuto nel giugno dello scorso anno. Vittima dell’aggressione armata fu Fiorenza De Luca, tarantina di 28 anni, peraltro in attesa di un bimbo.



Teatro della tragedia fu la casetta del centro di Grottaglie in cui viveva la coppia. La donna venne colpita alla testa da un colpo di pistola che non le diede scampo. Un delitto che il giovane provò a spiegare come un gioco finito male. Dopo il suo fermo operato dalla Polizia raccontò che la morte di Fiorenza sarebbe stato il frutto di una fatale disgrazia. Nel corso dell’interrogatorio continuò a ribadire la sua verità: «Non la volevo uccidere, stavamo giocando, il colpo è partito per sbaglio». Una versione dei fatti alla quale, però, i poliziotti del commissariato di Grottaglie non avevano dato credito alcuno sin dal principio.



Nel dispositivo della sentenza, peraltro, è stata “censurata” la condotta di due testimoni della difesa per i quali si profilano guai giudiziari. La Corte d’assise di Taranto, infatti, ha disposto la trasmissione degli atti all’ufficio della procura, in relazione alla testimonianza di due persone. Per il resto, la camera di consiglio che ha impegnato i giudici togati e popolari è stata caratterizzata, molto plausibilmente, più sull’entità della pena che sulla esatta configurazione del reato e sulla sussistenza delle aggravanti. Prima della camera di consiglio, infatti, l’avvocato Cosimo De Leonardis, difensore di Ligorio, aveva proposto una serie di argomentazioni che puntava ad attutire non slo la responsabilità dell’imputato ma, soprattutto, la volontarietà nell’azione sfociata nella morte della povera Fiorenza.



La motivazione della sentenza fornirà maggiore concretezza al rigore del dispositivo. Viene da pensare, però, che paletti “insormontabili” per la difesa sono stati quelli posti a suo tempo dagli investigatori che si erano soffermati sulle indagini e sulla “cattiva” qualità del rapporto di coppia che aveva caratterizzato l’unione fra Ligorio e la vittima. Secondo i poliziotti, l’uomo avrebbe avuto un movente, quello della gelosia, per commettere l’omicidio, considerato che contestava alla donna una scarsa dedizione. In ogni caso, fu proprio Ligorio, quel giorno, a lanciare l’allarme chiamando i soccorsi. «Venite, ho ucciso mia moglie», disse al telefono ai medici del 118. Ma per Fiorenza non ci fu nulla da fare.



La successiva autopsia chiarì anche che la donna aspettava anche un bambino. E per l’accusa sapeva. Era consapevole, cioè, che la compagna aspettasse un figlio. Lo dimostrerebbero le analisi ginecologiche trovate in casa e sequestrate dagli investigatori. La stessa abitazione in cui era stata uccisa la giovane madre. Originariamente, invece, per la difesa nulla era stato rivelato. E il delitto altro non sarebbe che il frutto di un “gioco” finito male, appunto. Secondo quanto poi accertato nel corso delle indagini nella coppia c’erano stati dei dissapori. L’uomo deteneva illegalmente una pistola a salve, modificata per funzionare come un’arma a tutti gli effetti. E a quanto emerso “sapeva maneggiarla”.



In principio fu una scritta a balzare all’attenzione degli investigatori. C’era il nome di una donna, sostituito con quello della vittima. E una dedica proprio a Ligorio. La frase era impressa sul muro, con una bomboletta spray, nei pressi dell’abitazione dei due. Tanto da far ipotizzare che il diverbio di coppia fosse scoppiato per gelosia. Gelosia di Fiorenza che quindi aveva pagato a caro prezzo le proprie proteste.
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