Al via gli Open days per ammirare il restauro dei reperti scoperti nel Canale d'Otranto

Al via gli Open days per ammirare il restauro dei reperti scoperti nel Canale d'Otranto
di Francesca RANA
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Martedì 15 Febbraio 2022, 05:00

Nell’agenda culturale tarantina, d’ora in poi, ci sarà un nuovo appuntamento. Ogni giovedì, saranno possibili visite guidate al laboratorio di restauro in via Viola 12, al Convento di Sant’Antonio. La Soprintendenza Nazionale per il Patrimonio Culturale Subacqueo ha mantenuto la promessa ed ha inaugurato questa nuova opportunità di conoscenza il 10 febbraio scorso. 
Potranno entrare in laboratorio negli open days 5 persone alla volta con il super green pass e già stanno arrivando le prenotazioni di piccoli gruppi, scolaresche o associazioni.

Il progetto

In questa fase, i funzionari saranno le guide d’eccezione ed i restauratori, interni o di C.s.r. Restauro Beni culturali di Roma, continueranno la catalogazione ed il restauro di reperti ceramici, recuperati nel Canale d’Otranto attraverso un rov (remotly operated vehicle), mezzi all’avanguardia con ventosa, pompa aspirante e sonar, in un’intervento di archeologia preventiva pianificato nel 2018, con 4 archeologi, uno di Taranto, il funzionario Angelo Michele Raguso. Insieme a Tap, Trans Adriatric Pipeline, è stato firmato un accordo sul restauro in corso e la futura esposizione. Una donazione ha consentito di avviare i primi restauri e le analisi scientifiche e di pensare a programmare una mostra itinerante, in Italia ed all’estero.

A dicembre, in occasione del Simposio Internazionale di Archeologia Subacquea, furono mostrate le prime ceramiche, un tempo trasportate in un relitto alto arcaico affondato anticamente, 3 anfore, una con noccioli di oliva nel sedimento, 4 hidray corinzie simili alle trozzelle, 4 brocche, almeno in un caso trilobate, a tre lobi, e un pithos contenente 22 coppe. Le coppe corinzie erano destinate al consumo di vino nei simposi ed erano molto pregiate. Le brocche servivano a versare l’acqua. La procedura prevede di preservarli in acqua, asciugarli, pulirli, iniziare a restaurarli, fare le fotografie, misurarli con il profilometro, disegnare in scala 1:1, documentare, catalogare e infine inserire la schedatura on line. Il disegno, nello specifico, aiuta molto a trovare il confronto con forme già studiate ed inventariate, verificare l’evoluzione morfologica, stabilire il materiale, il contesto generale e la cronologia di ceramiche prodotte in Grecia, a Corinto, e spedite in Magna Grecia. 
Il soprintendente nazionale, Barbara Davidde Petriaggi, aveva già presentato in autunno lo studio preliminare di 22 ceramiche corinzie risalenti al VII secolo a.C, rinvenute nell’area di presumibile naufragio, ed al 60° Convegno Internazionale di Studi sulla Magna Grecia fu approvata una mozione su proposta di Francesco D’Andria, inviata al ministro Dario Franceschini, sulla ricerca archeologica subacquea ed il possibile ritrovamento e recupero di carico e relitto. Si ipotizzò, tra l’altro, di usare il Pnrr, Piano nazionale di ripresa e resilienza. Altri reperti, la parte preponderante di un carico di 241 esemplari, sono ancora in fondo al mare al momento, ad una profondità di 780 metri, mai raggiunta in un recupero archeologico, lungo il corridoio offshore di 105 chilometri tra Albania ed Italia, in acque internazionali, in zona economica esclusiva italiana, con segni evidenti di danni di pesca a strascico.

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