Ex Ilva, Uilm: «L'indotto usa i lavoratori come scudi umani»

Ex Ilva, Uilm: «L'indotto usa i lavoratori come scudi umani»
di Domenico PALMIOTTI
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Lunedì 30 Gennaio 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 19:10

Nemmeno il tempo di esordire pubblicamente per il comitato indotto Acciaierie d’Italia e grandi industrie che è già tensione col sindacato metalmeccanici, il diretto interlocutore di queste 56 imprese, 46 delle quali fuoriuscite da Confindustria mentre altre 10 non erano in alcuna organizzazione datoriale.

L'affondo

«Pensavamo che questi imprenditori fossero i prediletti dell’amministratore delegato Lucia Morselli, ma ora vediamo che sono qualcosa di più. Usano come scudo i lavoratori loro dipendenti per spingere le richieste dell’ad sul decreto legge e fare inaccettabili pressioni sulla politica e sul Parlamento» commentano a Quotidiano Davide Sperti e Mimmo Amatomaggi della Uilm.
Ad accendere il fuoco sono state alcune dichiarazioni rilasciate a margine dell’assemblea di sabato scorso dal presidente del comitato, Fabio Greco. Rivendicando (si veda Quotidiano di ieri) la soppressione o modifica dell’articolo 2 del decreto legge 2/2023 sugli impianti strategici (è il provvedimento che riguarda anche l’ex Ilva), e temendo una nuova amministrazione straordinaria, Greco ha detto: «Noi siamo pronti a tutto perché questo non avvenga. A licenziamenti collettivi ed anche ad una class action.

Noi speriamo che i parlamentari prendano le loro responsabilità e ci portino una mozione sulla modifica dell’articolo 2 del decreto». 


In sintesi, l’articolo 2 è quello che introduce la possibilità di ricorrere all’amministrazione straordinaria nelle società a partecipazione pubblica su istanza del socio pubblico. Naturalmente, devono esserci i requisiti. Inoltre, il peso dello Stato nella società non deve essere inferiore al 30 per cento del capitale e la società stessa non deve essere quotata. Acciaierie d’Italia non è quotata, lo Stato oggi pesa per il 38 per cento (il 62 è nelle mani del privato Mittal) e si accinge, tra quest’anno e il prossimo, ad andare al 60. L’articolo 2, qualora, beninteso, vi fossero i presupposti, è quindi applicabile all’ex Ilva. Ma sembrerebbe più una norma deterrente per vincolare Mittal al rilancio della fabbrica a fronte dell’immissione di liquidità (680 milioni) che lo Stato sta facendo con l’articolo 1 del decreto, che una possibilità reale. Un semaforo rosso che si accenderebbe solo qualora vi fossero gravi inadempienze e irregolarità da parte del partner privato. 

I contraccolpi di una nuova A.s.

Anche perché il Governo non ignora i contraccolpi di una nuova amministrazione straordinaria. E nel fare paragoni col 2015, anno in cui Ilva fu assoggettata all’amministrazione straordinaria, andrebbe anche considerato che allora si veniva da tutta la vicenda Riva: sequestro dell’area a caldo, disimpegno della proprietà dal board dell’azienda e commissariamento deciso dal Governo.
«Gli imprenditori che ora minacciano i licenziamenti se non saltano dal decreto le norme sull’amministrazione straordinaria, sono gli stessi che più volte sono venuti a piangere da noi prospettandoci di essere in gravissima difficoltà perché non pagati da Acciaierie d’Italia - aggiungono Sperti e Amatomaggi -. Sono gli stessi che, avendo zero liquidità in quanto non pagati dall’ex Ilva, ci hanno chiesto di invitare i loro dipendenti a pazientare sul ritardo degli stipendi evitando scioperi e proteste. Sono gli stessi che hanno accettato da Acciaierie d’Italia che le fatture venissero pagate dopo 180 giorni. E tra loro c’è chi è ancora in ritardo sugli stipendi. Davvero un pessimo esordio. Appiattiti sull’ad Morselli, unica richiesta che fanno ai parlamentari è quella di mettere mano all’articolo 2 proprio come sollecita Morselli, per la quale questo articolo sarebbe addirittura anticostituzionale. Ma se l’ad chiede che si incida sulla norma, gli imprenditori dell’indotto vanno minacciosamente oltre e paventano licenziamenti. Posizioni, le loro, inaccettabili. Irricevibili». 
Tra indotto e sindacati c’era già stato uno scontro ai primi di gennaio, quando le imprese del comitato hanno definito “inopportuno” lo sciopero, giudizio da cui Confindustria si dissociò.

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