Il governo pensa ad Arvedi per guidare l'ex Ilva

Un recente sciopero allo stabilimento siderurgico di Taranto
Un recente sciopero allo stabilimento siderurgico di Taranto
di Domenico PALMIOTTI
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Domenica 4 Dicembre 2022, 05:00

Il Governo potrebbe coinvolgere il gruppo Arvedi nella gestione di Acciaierie d’Italia, ex Ilva, dopo aver assunto la maggioranza del capitale della società. A quanto pare l’esecutivo avrebbe avviato una prima discussione con i vertici del gruppo di Cremona. Che dopo l’acquisizione dai tedeschi di ThyssenKrupp di Acciai speciali Terni (Ast), è diventato il big italiano dell’acciaio con una forza produttiva di 6 milioni di tonnellate, circa 6.600 dipendenti ed un fatturato (stime di inizio 2022) di 7,5 miliardi di euro.

Il progetto

Da quanto si apprende, quello di Arvedi sarebbe un coinvolgimento mirato solo ad utilizzarne capacità ed esperienze essendo un acciaiere di lungo corso. Il gruppo di Cremona - guidato con la Finarvedi dal cavalier Giovanni Arvedi, 85enne - non parteciperebbe finanziariamente al rilancio dell’ex Ilva. Eventualmente potrebbe mettere a disposizione i suoi manager per rimettere in sesto il gruppo ora affidato alla joint tra il privato ArcelorMittal, che è maggioranza, e la società pubblica Invitalia, che è minoranza. Arvedi a settembre 2021 ha preso Ast, battendo la concorrenza di Marcegaglia e sborsando una somma che si aggirerebbe sui 600-700 milioni. Qualora si ipotizzasse un diverso intervento (societario e non solo di supporto manageriale) di Arvedi nell’ex Ilva, potrebbe eventualmente avvenire solo successivamente. È però una prospettiva temporale al momento non stimabile. Oltretutto l’ingresso di un nuovo privato non è sul tavolo. 
Adesso la priorità è chiarire definitivamente i rapporti con Mittal (dopo venerdì l’assemblea dei soci è stata aggiornata al 6 dicembre), riequilibrare la governance aziendale (“oggi lo Stato non c’è” ha detto il ministro delle Imprese, Adolfo Urso), mettere mano nella conduzione della società. Che dai 5,7 milioni di tonnellate di acciaio annunciati per il 2022, e ribaditi nella prima parte dell’anno, si ritroverà invece a chiudere il bilancio produttivo intorno ai 3 milioni di tonnellate quando è autorizzata a produrne sino a 6 milioni (altra palese discrepanza sottolineata da Urso). 
La strada maestra che il Governo vuole percorrere è portare Invitalia dalla minoranza alla maggioranza. Non paiono attuabili altre soluzioni come la nazionalizzazione del gruppo o la messa alla porta del privato Mittal. Il maggior peso pubblico in Acciaierie d’Italia è cosa che si sarebbe dovuta compiere entro maggio scorso. Questa era infatti la data prevista dall’accordo di coinvestimento firmato a dicembre 2020 tra ArcelorMittal e Invitalia. Poi tutto è saltato perché non si sono verificate le condizioni base, tra cui il dissequestro degli impianti di Taranto, e tutto è stato posticipato a maggio 2024. Su come rimettere al centro dell’agenda il passaggio dello Stato al 60 per cento, sui problemi e sulle complessità da affrontare col partner privato, è cosa su cui si sta ragionando da giorni. Ma se congegnare l’architettura dell’operazione è importante, altrettanto importante è cominciare a pensare su come gestire quello che è (o era?) un colosso industriale. «Siamo saliti su un treno che sta deragliando», ha osservato Urso. Ed è una raffigurazione che ben si addice alla condizione della fabbrica. Nel momento in cui lo Stato dovesse assumere il 60 per cento del capitale, non è che automaticamente l’ex Ilva passa al massimo della produzione possibile (e autorizzata) e rimette in marcia tutti gli impianti. Perchè questi vanno anzitutto ripresi. E per farlo servono competenze. Non che il siderurgico ne sia sprovvisto, ma un conto è essere guidati dall’indirizzo del privato, cosa avvenuta sinora, altro è averlo dal pubblico. 
Stato al 60 per cento significa pure che quest’ultimo esprimerà l’amministratore delegato, che ora è Lucia Morselli, designata da Mittal. E un amministratore delegato all’altezza dell’arduo compito, lo Stato dovrà necessariamente trovarlo. Così come una squadra di esperti che provveda alla macchina. Ecco quindi il ragionamento su Arvedi. D’altra parte, che gli acciaieri sono a disposizione e non vogliono stare alla finestra lo ha detto Antonio Gozzi, presidente di Federacciai. Favorevole ad un intervento transitorio dello Stato. 
Ma il tema dei nuovi privati è un po’ in secondo piano rispetto al chiarimento con Mittal da affrontare subito. Ieri “La Stampa” ha scritto che Mittal vuole più soldi per il pubblico in maggioranza. Secondo l’accordo di dicembre 2020, Invitalia per salire al 60 per cento deve investire 680 milioni e Mittal 70 milioni per avere il 40. Mittal ora chiede di più, pare 1,5 miliardi, affermando che la società vale di più rispetto al 2020. Col dl Aiuti Bis, Invitalia può agire sino ad un miliardo. «Che Mittal rivendichi più soldi, o risparmiare, non è una novità - commenta una fonte che ha seguito vari passaggi del dossier -. Lo ha fatto a maggio, quando si stava negoziando il 60 per cento pubblico, chiedendo un taglio della somma di 1,8 miliardi per l’acquisto dei rami di azienda più un’ulteriore riduzione del canone di fitto. Lo ha fatto a marzo 2020, quando, chiudendo il contenzioso sul recesso contrattuale, ha spuntato il pagamento al 50 per cento del fitto con l’impegno a saldare il resto all’atto dell’acquisto degli impianti. Lo ha fatto tempo addietro, dicendo che il magazzino valeva molto meno. Poi, la società sta meglio oggi? No, sta decisamente peggio a livello di impianti e questo era già emerso nell’ispezione di Ilva in as dell’estate 2020».
Non sarà dunque una passeggiata la trattativa.

Anzi, ci sarà da battagliare non poco. Ma il fatto che si discuta sul ribaltamento dei ruoli vuol dire probabilmente la strada si è aperta. E sono forse gli «spunti interessanti» di cui hanno parlato anche fonti di Governo.

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