Ex Ilva, in crisi anche l'indotto di Taranto

Il siderurgico di Taranto
Il siderurgico di Taranto
di Domenico PALMIOTTI
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Sabato 9 Luglio 2022, 22:00

«Sinora non è mai accaduto. Per la prima volta l’ex Ilva, Acciaierie d’Italia, sta utilizzando la cassa integrazione col numero massimo. Che nella procedura viene sì indicato, ma poi è sempre inferiore l’effettivo e reale utilizzo degli ammortizzatori sociali. Adesso, invece, con la fermata dall’11 luglio al 31 agosto dell’altoforno 2 e, a cascata, di una serie di impianti, a Taranto avremo un totale di 2.500 persone in cassa straordinaria a cui si aggiungono i circa 250 di Genova e quelli degli altri siti. Siamo così arrivati al tetto della cassa straordinaria. Che per un anno è stata chiesta per un massimo di 3.000 addetti nel gruppo e che il ministero del Lavoro ha concesso a marzo nonostante il mancato accordo con i sindacati e la mediazione fallita dello stesso ministero». 

I sindacati

Francesco Brigati della Fiom Cgil descrive così a Quotidiano il nuovo momento critico che attraversa l’ex Ilva. «Assistiamo - prosegue - a cose assurde. Esempio, se si ferma l’altoforno 2 per le manutenzioni anche sulle tubiere dell’impianto, è necessario che i manutentori siano al lavoro. Invece, la cassa integrazione viene aumentata anche per questo personale. Abbiamo appreso informalmente - aggiunge Brigati - che si sta sbloccando il prestito da 500 milioni con garanzia pubblica Sace per consentire all’azienda di ripristinare il circolante e riavere liquidità. A parte il fatto che che è sempre lo Stato, azionista di minoranza di Acciaierie d’Italia, ad intervenire in soccorso, mentre Mittal, azionista di maggioranza, rimane alla finestra, ci chiediamo con quali finalità, con quali vincoli di utilizzo, viene garantito dal pubblico questo prestito? Non possiamo permettere che si brucino altre risorse. Chiedendo la cassa straordinaria, l’ex Ilva l’ha motivata con gli investimenti che avrebbe fatto, ma vorremmo vederli avviati questi investimenti - aggiunge Brigati -, vorremo capire a che punto sono. Esempio, sull’altoforno 5 non si è mosso nulla. Ecco perché é urgente che il ministro del Lavoro mandi a Taranto gli ispettori così come ha detto di voler fare. Bisogna accertare se davvero l’azienda sta utilizzando la cassa per gli investimenti e la ristrutturazione. Dalle nuove fermate di impianti e dal conseguenziale aumento del personale inattivo, il segnale che ricaviamo - commenta Brigati - è che l’ad Morselli voglia tenere alto lo scontro forzando la mano». Ma non sono solo il rallentamento produttivo e l’aumento della cassa a tener banco. 
Nella tarda serata di venerdì un incendio ha danneggiato un escavatore che era all’opera sull’altoforno 1. Non ci sono feriti perché l’operatore del mezzo meccanico è riuscito a mettersi in salvo prima che le fiamme si propagassero. L’incendio é stato poi spento. Secondo una prima ricostruzione di fonti sindacali, pare che un cingolo dell’escavatore sia venuto in contatto col canalone dove scorre la ghisa ad altissima temperatura. Per i sindacati, l’accaduto è «un’ulteriore dimostrazione delle pesanti condizioni di sicurezza in cui versa la fabbrica». 
Vincenzo La Neve, coordinatore di fabbrica Fim Cisl, dichiara che «il nuovo incidente all’altoforno 1 dimostra quanto il sindacato rimanga inascoltato anche dagli enti ispettivi esterni che, al contrario, dovrebbero ascoltarci. Quello che è avvenuto all’altoforno poteva essere evitato se si fosse dato riscontro ad un comunicato delle rls di Fim Cisl, Fiom Cgil, Uilm e Usb del 13 giugno scorso in cui denunciavamo delle anomalie. Non avendo avuto alcuna convocazione da parte dell’azienda - aggiunge La Neve -, ci siamo rivolti allo Spesal dell’Asl Taranto presentando una denuncia il 20 giugno. Anche qui, però, non c’è stata alcuna risposta».
Nell’esposto, le sigle metalmeccaniche, in relazione all’altoforno 1, hanno denunciato «una ingente fuoriuscita di materiale incandescente da una porta vento che ha interessato il piano tubiere e il campo di colata B provocando un notevole incendio che solo l’intervento del personale di altoforno e dei Vigili del fuoco dello stabilimento è stato domato». In quella sede i sindacati hanno evidenziato per l’altoforno «scarsa manutenzione e mancanza di ricambi e materiale che possano garantire la giusta marcia e sicurezza degli impianti». Una situazione che provoca «continue fermate, deteriorando le strutture interne ed esterne dell’altoforno». 
«Sostanzialmente quanto si è determinato anche per l’altoforno 2, che da domani e sino a fine agosto sarà fermo» - aggiunge Gennaro Oliva, coordinatore di fabbrica Uilm. «L’azienda ha detto che si va allo stop per svolgere delle attività di ripristino, ma in realtà l’altoforno 2, che si avvia comunque a fine campagna, é stato deteriorato dai continui stop and go nella marcia.

Accade infatti che non avendo materie prime, e non ci sono perché non si hanno i soldi per acquistarle, l’azienda sia costretta a ricorrere a continue fermate. Ma che affidabilità può dare una gestione di questo tipo? Che garanzie di ripresa possono esserci con una conduzione simile?».

L'indotto

E anche dall’indotto arrivano segnali negativi. «Da domani - annuncia Cosimo Amatomaggi della Uilm - l’impresa Lacaita metterà tutto il personale in cassa integrazione. Su una forza lavoro di circa 70 unità, erano al lavoro 25-30 addetti. Ma poichè Acciaierie d’Italia non ha pagato la Lacaita, cosa purtroppo non nuova e non solo per la Lacaita, l’impresa si ferma e sospende tutto il personale. A ciò si aggiunga che i dipendenti attendono il saldo degli stipendi di aprile e maggio e non sappiamo cosa accadrà per quello di giugno che è ormai in maturazione». 

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