Indotto, imprese contro sindacati: «Sciopero sbagliato»

Indotto, imprese contro sindacati: «Sciopero sbagliato»
di Domenico PALMIOTTI
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Mercoledì 4 Gennaio 2023, 05:00

È scontro tra le aziende del comitato indotto e i sindacati. «Non condividiamo le tempistiche e l’opportunità dello sciopero indetto a Taranto l’11 gennaio da alcune sigle sindacali che viene organizzato cercando di coinvolgere anche i lavoratori delle nostre imprese, già stremate dall’andamento del 2022».

Le accuse

Così un gruppo di aziende dell’indotto ex Ilva, Acciaierie d’Italia, attacca le sigle Fiom Cgil, Uilm e Usb che hanno promosso contro il dl del Governo (quello che eroga 680 milioni all’azienda) uno sciopero dalle 23 del 10 gennaio, tra siderurgico e indotto, alle 7 del 12 gennaio ed una manifestazione a Roma, nelle vicinanze di Palazzo Chigi, l’11 gennaio, quest’ultima insieme a Regione Puglia, Comune di Taranto e Comuni. Sono aziende che si muovono autonomamente da Confindustria Taranto, la quale non sostiene quest’ultima presa di posizione così come non ha sostenuto le precedenti delle stesse imprese.
Chiamati in causa, la risposta dei sindacati arriva a stretto giro. «È vero che Confindustria Taranto non ha firmato quest’intervento ma poiché sono imprenditori associati a Confindustria e da sempre fanno comunicati estemporanei tutti schiacciati su ArcelorMittal, ne deduco che la stessa organizzazione datoriale si trova in uno stato confusionale» dichiara a Quotidiano Francesco Brigati, segretario Fiom Cgil. 
«È evidentissimo che le frasi del loro comunicato siano frutto della penna eterodiretta dell’amministratore delegato Lucia Morselli, che, per veicolare questi messaggi, si serve di persone che oggi gravitano nell’orbita di Acciaierie d’Italia ma che vengono dal mondo di Confindustria dove in passato hanno ricoperto incarichi importanti» prosegue Brigati. 
Per le aziende, «è sacrosanto il diritto costituzionale di ogni lavoratore e lavoratrice allo sciopero, ma questo strumento deve essere, per sua natura, rivolto alla salvaguardia dell’occupazione. Sollecitiamo lo stabilimento a ristabilire i normali rapporti di fornitura con l’indotto e man mano che gli ordini vengono ricevuti ci sia garantito, da parte delle autorità competenti, l’accesso e l’agibilità allo stabilimento per l’espletamento dei lavori e quindi la ripartenza». 
Rivolgendosi alle organizzazioni metalmeccaniche, le aziende dell’indotto dicono che «i nostri interessi (e quelli di Taranto e del Paese) non sono gli stessi di coloro che parlano di de-industrializzazione, che respingono qualsiasi innovazione infrastrutturale e tecnologica e che strumentalizzano la pazienza e la sofferenza dei nostri lavoratori. Quando costoro dicono di rappresentarci e di curare i nostri interessi, noi ci dissociamo: sono altro rispetto a noi, casomai sono un nostro interlocutore, ma non coincidono in alcun modo con noi». 
«Certo - replica Brigati - noi siamo altro da loro, lo sottoscrivo. E sapete perché? Perché parlano solo degli interessi di poche imprese ignorando completamente tutto il resto mentre noi riteniamo inopportuno che si eroghino soldi pubblici ad una società, Acciaierie d’Italia, senza alcuna garanzia e senza alcuna prospettiva. A loro sta benissimo lo stabilimento così com’è. Noi, invece, rivendichiamo una svolta sul piano dell’occupazione e della produzione e chiediamo un cambio netto sulla sicurezza sul lavoro, sulla salute e sulla tutela dell’ambiente. Noi chiediamo investimenti per la decarbonizzazione e l’innovazione, loro difendono una piccola nicchia di affari. Noi vogliamo che le imprese di Taranto debbano diversificarsi ed aprirsi al mercato e invece per molti di loro esiste solo l’ex Ilva. Se non arrivano lavoro e soldi da qui, vanno a terra. Pensiamo che le risorse pubbliche, ingenti, vadano necessariamente affiancate ad un cambio della governance societaria, rivelatasi disastrosa, e ad un piano di rilancio, loro, invece, vogliono solo che quei soldi servano a pagare le fatture scadute. Non gli interessa minimamente che la loro posizione è dissonante da quella assunta dalle principali istituzioni e da larga parte del mondo del lavoro. Incantati dalle promesse o spinti a recitare una parte o magari speranzosi di risollevarsi dal pantano in cui sono finiti, questi imprenditori sono fedelissimi all’attuale management di Acciaierie d’Italia e ai suoi emissari poiché badano solo al proprio tornaconto».
Con lo stesso documento con cui hanno contestato lo sciopero, le imprese, 46 in tutto, «hanno chiesto al ministro Urso di essere convocate alla riunione del 19 gennaio al Mimit, oltre che in audizione presso le commissioni parlamentari competenti». 
Per le aziende, «il Governo ha finalmente messo mano alla vicenda e noi aziende dell’indotto ex-Ilva salutiamo positivamente il decreto che assegna finalmente ad Acciaierie d’Italia la liquidità necessaria a ripartire con fondi e risorse vere, quelli promessi e sottoscritti e che Invitalia avrebbe dovuto erogare da tempo. Questo decreto - concludono - ha tutti i presupposti per rappresentare un vero e proprio punto di svolta ed essere la migliore opportunità mai data a Taranto fino ad ora. Serve però non sprecare altro tempo e dare concretezza ed immediata attuazione ai suoi contenuti». 
Intanto, in vista della protesta dell’11 gennaio, da oggi e sino al 9 si terranno le assemblee in fabbrica e nelle aziende dell’indotto.

La mattina del 10 gennaio avverrà la distribuzione di volantini da parte dei delegati sindacali. 

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