La decarbonizzazione dell'ex Ilva di Taranto? Marescotti attacca: nei prossimi 12 anni non c'è alcuna dismissione di altoforni

Il professore Alessandro Marescotti, presidente di Peacelink
Il professore Alessandro Marescotti, presidente di Peacelink
di Paola CASELLA
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Domenica 21 Maggio 2023, 06:00 - Ultimo aggiornamento: 22 Maggio, 08:39

«Leggendo le dichiarazioni di Franco Bernabé, presidente di Acciaierie d’Italia e Dri d’Italia, si ha la conferma che per ora la decarbonizzazione dell’Ilva di Taranto non c’è nei piani ambientali della sua azienda. La richiesta di autorizzazione integrata ambientale (Aia) fa infatti perno sugli attuali impianti siderurgici basati sul carbone. Bernabè dice che non hanno neppure certezza delle nuove tecnologie future che andranno a scegliere». 
È quanto afferma il presidente di PeaceLink Alessandro Marescotti che nei giorni scorsi aveva fatto notare che nella richiesta di rinnovo dell’Aia manca ogni riferimento alla decarbonizzazione, mentre si parla di rifacimento dell’Afo5, il più grande altoforno d’Europa.

Le dichiarazioni del presidente

Venerdì Bernabè, collegandosi on line al Festival dello Sviluppo Sostenibile, ha risposto che quando si saprà quale tipo di tecnologia utilizzare, verrà presentata una nuova Aia, che conterrà il piano di decarbonizzazione. «Non è così che funziona l’Aia - sostiene Marescotti - perché gli impianti di cui parla Bernabè traguardano i prossimi anni. Pertanto non vi sarà un’Aia nuova che sostituirà quella attualmente richiesta. Ci saranno forse nuove soluzioni tecnologiche che si aggiungeranno agli impianti a carbone».

Il preridotto

Dri d’Italia spa è stata costituita “per studiare la fattibilità di impianti di produzione di Direct Reduced Iron (“preridotto”) che è un semilavorato siderurgico ottenuto dalla riduzione del minerale ferroso mediante utilizzo di monossido di carbonio e idrogeno”, si legge sul sito dell’azienda presieduta da Bernabè, il quale ha spiegato che Dri d’Italia costruirà due moduli impiantistici per la realizzazione del Dri ossia la materia prima che dovrebbe alimentare i forni elettrici, mentre Acciaierie d’Italia costruirà i forni elettrici. Un modulo sarà costruito nello stabilimento e verrà utilizzato da Acciaierie d’Italia. L’altro modulo, realizzato in un’area Zes, sarà utilizzato dai siderurgici privati.

Inizialmente, gli impianti verranno alimentati a gas e in futuro con energia rinnovabile. «Dobbiamo distinguere - ha commentato Marescotti - due piani nell’attuale dibattito: da una parte c’è la politica che sembra sganciata dalla realtà e scrive il libro dei sogni, dall’altra c’è l’azienda che, invece, con i piedi ben piantati per terra, è intenta a perseguire concretamente i suoi scopi. Il punto è che a Taranto non è prevista nell’Aia per i prossimi 12 anni alcuna dismissione degli altoforni. Rilanciano anche la cokeria che distilla il carbone. La decarbonizzazione di conseguenza non compare nell’Aia presentata dall’azienda che lui presiede». 

I forni elettrici

Marescotti si è poi soffermato sull’utilizzo del Dri (Direct Reduced Iron) necessario ad alimentare i futuri forni elettrici: «A Taranto quale sarà l’impatto ambientale dell’impianto per realizzare il Dri? Questi impianti possono essere impattanti. La movimentazione dei materiali polverulenti e il processo produttivo del Dri possono generare emissioni inquinanti. Inoltre il Dri potrebbe alimentare il ciclo produttivo dell’area a caldo. Al posto del rottame di ferro, ad esempio. E quindi? Il Dri non rivoluzionerebbe il ciclo siderurgico attuale, con buona pace per la tanto decantata transizione all’acciaio verde. Anche perché quei forni elettrici, al momento, vivono nella sfera dell’immaginazione progettuale, non in un piano industriale. Lo stesso Bernabè afferma che i forni verranno costruiti con i soldi della “cassa generata se si mantengono produzione e quote di mercato” ottenuti a seguito dell’aumento della produzione con i vecchi impianti spinti al massimo. Non è un caso che l’azienda non sia propensa alla Valutazione danno sanitario che invece dovrebbe essere lo strumento scientifico per valutare quali impianti autorizzare e quali invece non autorizzare». 

L'accordo di programma


Il presidente di Peacelink ha, infine, fatto riferimento all’Accordo di programma su cui tanto puntano gli amministratori: «L’accordo di programma non serve a fare l’acciaio green, ma a gestire le conseguenze occupazionali della crisi dell’Ilva di Taranto. A Genova la Magistratura chiuse l’area a caldo e l’accordo di programma servì a gestire l’occupazione dei lavoratori in esubero». 

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