Riti pasquali, il precedente di 76 anni fa: ecco cosa accadde nel 1944

Riti pasquali, il precedente di 76 anni fa: ecco cosa accadde nel 1944
di Francesco CASULA
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Lunedì 23 Marzo 2020, 10:45
Sono trascorsi 76 anni dall’ultima volta in cui Taranto non si è stretta intorno ai riti della Settimana Santa. L’anno era il 1944. E anche nel 2020, com’è ormai noto, i tarantini saranno privati di un momento che chiama a raccolta fedeli e non solo: il 19 marzo scorso, infatti la «Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti» ha emanato un decreto destinato alle diocesi di tutto il mondo cattolico e nel quale sono contenute le disposizioni per la prossima Pasqua «in tempo di Covid-19».

L’organo Vatino ha disposto che per «le espressioni di pietà popolare e le processioni che arricchiscono i giorni della Settimana Santa e del Triduo Pasquale» sarà il vescovo della diocesi a decidere se debbano «trasferite in altri giorni convenienti, ad esempio il 14 e 15 settembre». Per Taranto, al momento, non è chiaro quale sia l’orientamento di monsignor Filippo Santoro che dovrà attendere le valutazione della Cei, la Conferenza episcopale italiana, ma è chiaro che il 10 e 11 aprile dal Carmine e da san Domenico non usciranno i confratelli incappucciati. Una notizia sconvolgente che richiama alla mente dei più anziani i tempi della Seconda guerra mondiale, quando prima il Governo fascista e poi gli Alleati negarono il permesso di celebrare il pellegrinaggio «ai sepolcri», quello della Vergine Addolorata e la processione dei Misteri.

Il 1944 era l’ultimo di quattro anni in cui durante il triduo pasquale non si videro i «perdoni» nelle strade del borgo e nei vicoli della città vecchia. Dal ’41 al ’44, infatti, Taranto fu privata, a causa del conflitto, delle sue tradizioni. Ma non era la prima volta: anche durante la Prima guerra mondiale, i riti furono vietati: tra il 1916 e il 1018, tre anni, la Settimana Santa tarantina non poté mostrare le manifestazioni di pietà popolare che oggi l’hanno resa punto di riferimento per buona parte dell’Italiameridionale. Nel suo libro «Settimana Santa nascosta», il tarantino Nicola Caputo, giornalista e studioso dei riti diventato poi priore della confraternita del Carmine, raccontò quegli anni in cui ai «fratelli» e alla comunità tarantina fu imposto anche il sacrificio di rinunciare alle tradizioni.

Caputo descrive come in quegli anni, in particolare nella chiesa del Carmine, vennero comunque allestiti i «sepolcri», gli «altari della reposizione» in cui viene posata l’Eucaristia dopo la messa «in Coena Domini» del Giovedì Santo durante la quale, oltre alla lavanda dei piedi, i fedeli ricordano l’istituzione della Comunione fatta da Gesù nell’ultima cena con gli apostoli. In quei sepolcri, durante gli anni della guerra, furono sistemate anche le statue dei «Misteri» che non vennero portate in processione: alcune fotografie mostrano la presenza dei simulacri di «Gesù morto» e della «Addolorata», le statue più antiche diedero inizio alla processione del Venerdì, e anche la croce che i tarantini chiamano la «Sacra Sindone» per l’apposizione di un telo di cotone a ricordo della deposizione del crocifisso. In particolare Nicola Caputo descrive i sepolcri individuati tramite alcune fotografie del 1916 e del 1942.

Per quest’ultimo anno, inoltre, lo studioso tarantino, riesce anche ad accertare che il sepolcro allestito e fotografato il Giovedì Santo nella chiesa del Carmine, era diverso da quello immortalato dall’obiettivo il giorno seguente, Venerdì Santo. «In un primo momento – scrive Caputo – avevo pensato a un possibile errore di date commesso da chi aveva a posto quelle didascalie alla buona sulle foto e questo perché a prima vista, tanto diversi mi erano sembrati i due sepolcri ritratti; invece errore non c’era stato, poiché si trattava, per entrambe le foto, proprio del sepolcro del 1942» Ma la verità era che la seconda era la foto «scattata il venerdì Santo, con l’esposizione alla pubblica venerazione di tre delle otto statue dei Misteri». Caputo ricorda che anche in quegli anni i tarantini «affollarono le chiese» mentre «cominciavano a diventare più frequenti in città le visite dei bombardieri nemici e mentre si tentava disperatamente di trovare scampo in uno dei paesi della provincia o di regioni vicine». Nel 2020, fortunatamente, non ci sono bombe e incursioni aeree, ma un virus che impedisce ai tarantini di recarsi in chiesa. Per un anno, quindi, non resta che affidarsi ai filmati degli anni precedenti ai ricordi. In attesa che tutto finisca. Come quel 25 aprile. 
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