Coronavirus, negozi vuoti e bambini rispediti a casa da scuola: «Non siamo nemmeno stati in Cina»

Coronavirus, negozi vuoti e bambini rispediti a casa da scuola: «Non siamo nemmeno stati in Cina»
di Francesco CIURA
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Lunedì 17 Febbraio 2020, 09:55 - Ultimo aggiornamento: 10:01

Wuhan è ormai una città fantasma, con i suoi 11 milioni di abitanti barricati in casa. Praticamente un non luogo all'interno del quale regna l'immobilismo ed un silenzio spettrale. Lo scenario sembra davvero apocalittico. Ma surreale è anche ciò che sta accadendo alle comunità di cinesi residenti in Italia, Taranto compresa. Prendere le dovute precauzioni dal pericoloso Covid 19 è necessario, ma senza esagerare, senza debordare, in particolar modo in atti discriminatori nei confronti degli asiatici. E se avere paura in questi casi è normale, è altresì indispensabile fare appello al buon senso per frenare la psicosi da coronavirus, l'isteria generata ai danni di tanti cittadini di origine asiatica, bambini compresi, residenti da anni sul nostro territorio. E mentre in tante città italiane si sono già registrati atti persecutori nei loro confronti, sfociati anche in aggressioni verbali e fisiche, a Taranto i cittadini appaiono divisi.

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Le numerose attività commerciali sorte negli ultimi 20 anni in città ed in provincia, dai ristoranti al gran bazar, dal piccolo rivenditore di materiali di piccolo consumo all'abbigliamento fino all'artigiano testimoniano il gradimento dei tarantini del loro ingresso in società. Ma quella cinese è stata una ascesa eccezionale, resa ancor più veloce dalla crisi economica che ha colpito il territorio nell'era del post Ilva. Il made in China ha finito così in breve tempo per spopolare al punto tale da registrare nel giro di pochi anni un incremento delle aziende, dei distributori e di tantissimi artigiani. Una vera e propria ondata gialla che però ora col terrore del virus sta ritraendosi altrettanto rapidamente.

Le attività commerciali che fino a qualche mese fa erano piene di clienti sono adesso come le strade di Wuhan, vuote così come gli scaffali di tanti negozi. «La merce - racconta Sara, commessa tarantina presso un'attività commerciale gestita da cinesi in via Cesare Battisti - è in esaurimento. Qui non entra più nessuno e quei pochi che ancora lo fanno a breve non troveranno più ciò che desiderano perché il trasporto è bloccato. I commercianti non vendono, di conseguenza non acquistano più dai distributori che a loro volta non comprano più merce proveniente dalla Cina. E per giunta, allo stato attuale, da quanto mi riferisce il mio titolare, avrebbero anche esaurito le scorte. E questo purtroppo - racconta - è solo una faccia della medaglia».

Già, perché accade pure che oltre al danno economico si aggiunga la beffa morale, come quella di vedersi rifiutare l'accoglienza a scuola dei propri figli, bambini nati e cresciuti a Taranto. È questa la storia di Anna e Lucia (nomi di fantasia) due sorelline di 8 e 13 anni figlie del titolare di un negozio di abbigliamento ubicato in una delle zone più commerciali della città che un bel dì sono state rispedite a casa dal dirigente scolastico di un noto Istituto Comprensivo. Ed a nulla sono valse le rassicurazioni dei genitori che asserivano di non essersi recati in Cina, neppure per i festeggiamenti del noto Capodanno. Nulla da fare: alle bambine è stato vietato l'ingresso a scuola per 14 giorni, il tempo necessario, avrebbe spiegato la dirigente, per verificare l'eventuale contagio.

«Serve un po' di intelligenza - tuona Rosi, commessa presso un parrucchiere cinese - che molti non posseggono. Tuttavia nel nostro settore il calo non lo abbiamo avvertito: la clientela è la solita ma sappiamo che in altri esercizi commerciali non è così, ed il problema sussiste perché in assenza di vendite anche il settore occupazionale sta pagando un prezzo troppo elevato».

Per comprendere le dimensioni del problema è sufficiente fare un giro all'interno dei nuovi grandi bazar, molti dei quali inaugurati recentemente ed all'interno dei quali lavorano tantissimi ragazzi tarantini regolarmente assunti. «All'inizio spiega Sara - le attività commerciali erano gestite e condotte solo ed esclusivamente da cinesi e da un nucleo ristretto di familiari; poi, con l'incremento delle vendite e la crescita esponenziale registrata in questi ultimi anni, hanno aperto le porte delle aziende anche a noi tarantini. Anche se possono sembrare dei veri e propri clan, nuclei ristretti ed impenetrabili, lavorandoci a stretto contatto si palesa una realtà completamente diversa. Sono grandi e seri lavoratori, gente che si rimbocca le maniche e che fa del lavoro la propria ragione di vita. Per certi versi sono un esempio da seguire. Il mio titolare racconta quando ha aperto il secondo negozio ha lavorato di notte per accorciare i tempi di apertura e per non dover creare disagi alla cittadinanza dovendo occupare una porzione, seppur minima, di suolo pubblico per lo scarico della merce».

Sara traccia uno spaccato di vita quotidiana del titolare del negozio presso cui è impiegata manifestando apprezzamento, riconoscenza ed ora anche comprensione nonostante si sia vista dimezzare lo stipendio.

Stessa sorte per Angelo, commesso in un grande emporio della provincia. «I miei titolari dice il giovane commesso quando hanno aperto questa attività mi hanno assunto affidandomi la conduzione di un intero reparto e con me sono entrati a far parte della squadra altri dieci ragazzi del posto. Il centro era sempre pieno di clienti, oggi non entra più nessuno. I nostri stipendi sono stati ridotti perché all'improvviso si è fermato tutto. Si è scatenata una ingiustificata psicosi nei confronti di questa gente che tra l'altro da quando è in Italia non è più tornata in Cina».

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