"La febbre di Gennaro", diventa un film l'impegno umanitario

"La febbre di Gennaro", diventa un film l'impegno umanitario
di Alessio Pignatelli
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Mercoledì 31 Marzo 2021, 19:56 - Ultimo aggiornamento: 20:41

A vent'anni ha deciso che quella vita "normale" gli stava stretta. Così ha lasciato la sua città, Taranto, ed è partito per l'Albania dove riteneva ci potesse essere bisogno di lui. Perché aiutare gli altri, quelli più in difficoltà, è sempre stato il suo pallino. Da allora sono passati nove anni nel corso dei quali Gennaro Giudetti è stato un po' ovunque: dalla Colombia, in difesa dei contadini locali contro i narcos, al Kenya, per togliere i bambini dalla strada che sniffano colla per farsi passare la fame. Dalla nave per soccorrere i migranti nel Mediterraneo, alle corsie degli ospedali di Codogno per combattere il Covid. Ora la sua vita è un film. Su di lui, prima volontario e poi operatore umanitario, impegnato ad aiutare i più svantaggiati in contesti di guerra in tutto il mondo. La "Febbre di Gennaro" - disponibile dal 2 aprile su Sky Primafila, Chili, Rakuten TV, Apple TV, Google Play e The Film Club – dura tre quarti d'ora circa ma servirebbero ore per raccontarne le vicende.

Il suo racconto

"Dopo il diploma - racconta Gennaro ho deciso di intraprendere il servizio civile. Sono partito per l'Albania, ci prendevamo cura dei senza fissa dimora». Poi sei mesi in Kenya, nella periferia di Nairobi. A Soweto i ragazzini delle baraccopoli dai 13 ai 16 anni sniffano la colla per non soffrire i morsi della fame. Vendono tappi di bottiglia di plastica o lattine per guadagnare centesimi e comprare colla, tipo Bostik: «Entra nelle narici e si affievolisce l'appetito. Visto che non hanno soldi per mangiare, rimediano così. Abbiamo cercato di levarli dalla strada e reinserirli nella società. Sono invisibili». Quindi in Colombia, al confine col Panama, nella foresta Amazzonica: «Scortavamo la comunità di contadini che lottano contro il narcotraffico, le Farc (Forze armate rivoluzionarie colombiane) e i paramilitari.

Abbiamo recuperato diversi cadaveri, eravamo un faro dei diritti umani in un contesto violento e senza scrupoli». E ancora Palestina, Libano, Niger, Congo, Yemen. E poi, forse non l'avrebbe mai detto, l'Italia chiede il suo aiuto. Già perché l'anno scorso succede quello che ormai, purtroppo, entrerà nei libri di storia. Il Covid sconquassa le vite di tutta Europa, Bel paese compreso. 

Il dramma Covid

«Eravamo appena sbarcati a Messina, avevamo recuperato diversi migranti. Scoppiano i casi a Codogno e Lodi. Non ci penso due volte, raggiungo il team perché avevo avuto già avuto esperienze con le epidemie di colera, morbillo ed ebola. È stato diverso. Eravamo in Italia, la parte emotiva era stressante. Nei paesi esteri il distacco culturale ti permette di essere molto più lucido. In Lombardia invece trovavamo gente che parlava la nostra lingua, sentivi ambulanze ogni due minuti. Un rumore incessante. Un giorno, in terapia intensiva, ho incontrato un ragazzo di Taranto: con lui parlavamo in dialetto, ci siamo riconosciuti così». Tutte queste storie saranno raccontate ne "La febbre di Gennaro"  prodotto da Claudia Pampinella per Talpa Produzioni, in co-produzione con D4 Srl e realizzato in collaborazione con Medici Senza Frontiere, Associazione Comunità Giovanni XXIII e Sea Watch. «All'inizio ero titubante ma poi mi hanno convinto perché ci sono le voci delle vittime. Sono soprattutto loro i protagonisti. Da soli non possiamo fare nulla, insieme ci si salva. Non siamo eroi e nemmeno delinquenti. Siamo persone che vogliono aiutare il prossimo in difficoltà».

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