Da Taranto ad Amburgo, da Acciaierie d’Italia ad ArcelorMittal, il caro energia picchia duro sulla siderurgia, attività energivora per eccellenza.
Dove saranno i tagli
Mittal, partner privato che in Acciaierie d’Italia ha come socio pubblico Invitalia, società del ministero dell’Economia, ha infatti annunciato che taglierà tre siti: due in Germania, Amburgo e Brema, e uno in Spagna nelle Asturie. Un’analisi di T-Commodity spiega che questi stabilimenti “rappresentano circa l’8-9% della produzione europea di Arcelor”. E “a livello industriale, le attuali riduzioni rappresentano il 2-3% della produzione di acciaio piatto della Ue e l’1% della produzione di acciaio lungo, ma si ipotizza che la domanda scenda del 5% nel 2023 rispetto al 2022”. “Quindi - osserva T-Commodity - i tagli sono consistenti. La debolezza della domanda, le scorte elevate e le importazioni competitive sono venti contrari per l’industria dell’acciaio”.
La situazione all'ex Ilva
Nell’ex Ilva di Taranto il fermo impianti c’é già. Da luglio, l’altoforno 2 e l’acciaieria 1 non producono. La loro ripartenza era attesa per i primi giorni di settembre, così almeno aveva comunicato l’azienda ai sindacati nelle scorse settimane, ma nessun riavvio c’è stato. Tant’è che nei giorni scorsi le sigle metalmeccaniche hanno scritto all’azienda chiedendo informazioni sul punto. E per oggi alle 11 l’ex Ilva ha convocato i sindacati proprio per discutere dell’assetto di marcia. Fonti sindacali dicono che non dovrebbe parlarsi di ripartenza ma di rotazione, ovvero portare sugli impianti in attività i lavoratori sinora rimasti a casa, sospesi. In ogni caso, il quadro resta critico, tanto più per un’azienda come Acciaierie d’Italia che, al contrario degli altri produttori, non è riuscita a risollevarsi dopo la stasi della pandemia, nè, malgrado un mercato favorevole, ha potuto portare la produzione alla soglia consentita e autorizzata, 6 milioni di tonnellate di acciaio l’anno, per una serie di problemi sugli impianti.
In quanto alla liquidità che non c’è, è questione che tiene banco da mesi e ora bisognerà vedere quale piega prenderà la trattativa tra Mittal e Invitalia a proposito del miliardo di euro che il Governo col Dl Aiuti (che domani dovrebbe ricevere il via libera del Senato) ha autorizzato la società del Mef ad utilizzare. Sul punto vi sono allo stato due linee: quella del Governo che punta a ricapitalizzare l’ex Ilva e quella di Mittal che preme affinchè il miliardo vada a fornire ossigeno finanziario all’azienda.
Le frenate produttive
Tornando alla produzione, non sono in vista, per ora, altre frenate produttive a Taranto. Anche perché la fabbrica va già a passo ridotto: 10mila tonnellate di ghisa al giorno dicono i sindacati. E Gianclaudio Torlizzi, fondatore di T-Commodity, afferma che “i tagli produttivi di ArcelorMittal e in generale delle altre industrie siderurgiche in Europa, colpiranno duramente anche l’Italia” ma, precisa subito, le acciaierie basate sui forni elettrici, non l’ex Ilva. Che é una eccezione nel settore in quanto non ha forno elettrico. Lo avrà col nuovo piano industriale, che però deve ancora decollare, e sino ad allora si spera che il costo del gas sia rientrato nella normalità. Per Torlizzi, “l’incidenza dell’energia sul forno elettrico impatta per circa 450 euro a tonnellata, a cui si devono sommare i costi del rottame, ovvero la materia prima che va dentro il forno, pari a circa 400 euro a tonnellata. Quindi si hanno costi totali intorno a 850 euro a tonnellata contro l’attuale prezzo dell’acciaio a 900 euro”.
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