Si ribella ai caporali e rischia d'essere ucciso: otto anni di condanna agli aguzzini che schiavizzavano i migranti

Si ribella ai caporali e rischia d'essere ucciso: otto anni di condanna agli aguzzini che schiavizzavano i migranti
di Francesco CASULA
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Venerdì 12 Giugno 2020, 10:19
È stato condannato a otto anni di carcere Vincenzo Stoppa, ritenuto uno dei caporali che per mesi ha sfruttato braccianti agricoli, italiani e stranieri, nelle campagne tra la provincia di Taranto e quella di Matera. Coinvolto nell'operazione «Radici» messa a segno dai carabinieri di Castellaneta, l'uomo fu arrestato ad aprile 2019 e a differenza di altri imputati, che hanno scelto I riti alternativi, ha optato per il processo ordinario che ieri è giunto alla conclusione con la pesante pena inflitta dai giudici. L'inchiesta, partita dal tentato omicidio di un uomo che si era opposto allo strapotere dei caporali, rischiava però di concludersi con un nulla di fatto e solo grazie all'impegno della Fla Cgil e del suo avvocato Claudio Petrone che si è opposto alla richiesta di archiviazione, è giunto dinanzi al collegio di magistrate.

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L'avvvio delle intercettazioni consentì di portare alla luce le condizioni disumane nelle quali si trovavano I lavoratori dei campi. «Senti io non ho panini, non ho mangiato! Io non ho mangiato, non ho soldi, non mangio da ieri sera non ho niente!» urlava disperato Stefan, uno dei tanti braccianti stranieri alla «donna caporale» che l'aveva reclutato. Sfogava tutta la sua rabbia per i 4 euro per ogni ora di lavoro che gli erano stati promessi, per turni massacranti che arrivavano anche 10 ore al giorno. Spesso, però, alla fine della giornata non riceveva nulla e quando il giorno di paga arrivava, il «caporale» tratteneva il denaro per la stanza fatiscente nella quale dormiva, per il trasporto dal paesino ai campi e persino della benzina. Nelle tasche di Stefan, quindi, non restava praticamente nulla. Nemmeno gli spiccioli per comprare un panino. Come Stefan erano in tanti, tantissimi. Stranieri e italiani.

Costretti ad accettare qualunque cifra per lavorare. Obbligati a restare in silenzio se le promesse iniziali del padrone non venivano rispettate. E se qualcuno alzava la testa, le reazioni degli sfruttatori erano diverse. Nella migliore delle ipotesi facevano finta di non conoscerlo, ma nei casi più estremi minacciavano di morte e a volte sparavano pure. Fatti che spaventavano tutti e spingevano a restare in silenzio.
Non solo. A volte trasformavano gli sfruttati in complici degli sfruttatori. E così quando nei campi arrivano i carabinieri e gli ispettori del lavoro per i controlli, bastava un sms e tutti i lavoratori in nero scappano. «Il padrone stava qua ... allora è arrivato l'lspettorato... dal cancello hanno visto e ci hanno trasmesso i messaggi a noi di scappare racconta uno di loro ignaro di essere ascoltato dai militari. Gli investigatori, però, durante uno di quei controlli recuperarono il quaderno di una donna. Ci sono nomi, date, cifre e le aziende dei padroni. «L'importante cerca di rassicurarla uno dei suoi complici è che quelli che tu porti non dicono che li porti tu... e che prendi i soldi per portarli a lavorare... la benzina o meno... capito?». E così I militari scoprirono anche che «la donna caporale» era allo stesso tempo una vittima. Era lei al telefono a chiedere conto a uno dei padroni dei soldi che non aveva ricevuto, ma la risposta era stat raggelante: «io ti ho chiamato a te?! E chi ti conosce! Chi ti conosce a te! Io non so nemmeno chi cazzo sei».
«La Flai Cgil - ha commentato l'avvocato Carlo Petrone che ha rappresentato il sindacato nel processo - è impegnata oramai da anni nella lotta al caporalato. Sono tante ancora le realtà nelle quali i braccianti sono vittime di sfruttamento. Continueremo ad essere presenti accanto ai lavoratori, sui campi e nelle aule di giustizia».
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