Confindustria, Bonomi contro la nazionalizzazione dell'ex Ilva di Taranto

Un momento della giornata
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di Domenico PALMIOTTI
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Sabato 4 Febbraio 2023, 06:00 - Ultimo aggiornamento: 07:51

Il pensiero sull’ex Ilva, ora Acciaierie d’Italia, di Carlo Bonomi, presidente di Confindustria, si esplicita in cinque punti. Che esplica nel discorso con cui conclude l’assemblea generale di Confindustria Taranto svoltasi ieri mattina in un luogo storico per l’industrializzazione della città: la sala a tracciare dell’Arsenale della Marina Militare. Bonomi non parla solo di Ilva, ma di molto altro e anche del caso che ha segnato in questi giorni Confindustria Taranto: l’uscita dall’associazione di una cinquantina di imprese che hanno costituito un autonomo comitato indotto AdI e grandi imprese. Tuttavia buona parte del suo discorso è centrato sul primo problema con cui la città è chiamata a fare i conti. 

Il bilancio negativo


L’incipit di Bonomi è chiaro: «L’amministrazione pubblica commissariale non ha risolto il problema, l’ha solo aggravato. Se vogliamo essere ancora un Paese industriale, e l’Italia non può non esserlo, è impossibile rinunciare all’Ilva o nazionalizzarla». «La soluzione non è semplice, è complessa, ma se facciamo quel che va fatto, saremo in grado di trovare una soluzione», sottolinea.

Il programma in cinque punti

Che fare allora? Ecco i cinque punti del leader di Confindustria.
In primo luogo, dice, «bisogna partire da tutto quello che di buono è stato fatto. Taranto è un notevole esempio di ripristino ambientale di una grande acciaieria». Poi «bisogna garantire le condizioni finanziarie per continuare sulla via delle politiche ambientali». Così come «il piano di decarbonizzazione va portato avanti e richiede investimenti. Non si risolvono i problemi di decenni in poco tempo», avverte Bonomi. 
Il flusso delle risorse necessarie agli investimenti, per il numero 1 di Confindustria, necessita di un chiarimento a monte.

Il deconsolidamento, dice Bonomi riferendosi a quando nel 2021 ArcelorMittal ha fatto uscire la “costola” italiana dal perimetro della corporate, ha causato «incertezza su chi è il gestore. Ci siamo pienamente espressi per il pieno ripristino dello scudo penale sugli investimenti in Ilva». «Così come stanno le cose oggi - argomenta Bonomi -, non è possibile garantire la continuità produttiva. Bisogna affrontare la questione seriamente, senza ideologie, e introdurre un quadro normativo stabile, coerente e certo. Perché fin quando non ci sarà certezza di diritto, nessuno potrà garantire gli investimenti di cui abbiamo necessità». 

I fondi per il siderurgico


Bonomi tocca poi il tema delle risorse che stanno arrivando: i 680 milioni che erogherà Invitalia ad Acciaierie d’Italia e sui quali il ministero dell’Economia ha acceso il semaforo verde. «Non è possibile che lo Stato paghi i fornitori energetici pubblici e ignori le piccole e medie imprese», sostiene. Un aspetto, questo, che Bonomi marca anche nel punto stampa che tiene appena entrato nella sala a tracciare: «Adesso è stato fatto un primo provvedimento che consente di pagare le aziende che forniscono energia. Sappiamo tutti il conto salato che hanno pagato le industrie, specialmente Ilva che è energivora. Però non basta. È un inizio. Noi dobbiamo garantire anche il pagamento dei piccoli e medi imprenditori».
Quindi Bonomi rivolge uno sguardo sul futuro di Ilva. «Dobbiamo pensare all’acciaio green - rileva -, ma non possiamo pensare che avvenga domani. Ci vuole tempo. Abbiamo le filiere da garantire e non possiamo dipendere dall’estero per la manifattura italiana». Quindi, prosegue, «è indispensabile il revamping dell’altoforno 5», il più grande d’Europa, fermo dal 2015, «cosi come è indispensabile avere altiforni attivi». 
Anche quest’elemento Bonomi richiama nel punto introduttivo con i giornalisti. «Abbiamo bisogno di un polo produttivo dell’acciaio non di 3 milioni di tonnellate - osserva -. Deve crescere, deve essere almeno a 6 milioni. Per far questo va fatto il revamping dell’altoforno 5, vanno mantenuti alcuni impianti, e quindi è una transizione che chiederà 10-12 anni. Ma se non facciamo gli investimenti, è impossibile pensare di arrivare a questa produzione». E dal palco Bonomi rafforza il concetto dichiarando: «Non possiamo chiudere quel che c’è aspettando quello che forse ci sarà». Servono - ed è l’ultimo dei cinque punti “bonomiani” - «investimenti di medio e lungo periodo, un piano di investimenti serio. L’acciaio di Stato ce lo ricordiamo tutti. Ci è costato miliardi di lire all’epoca e con grandi fallimenti. Io credo che ci voglia un progetto industriale con dei manager bravi a gestire questo progetto perché operare nell’acciaio non è semplice, non è facile. Ci vuole gente del mestiere».

Il parere di Federacciai


Anche Antonio Gozzi, presidente di Federacciai, riprende uno dei punti di Bonomi (le cose fatte) quando osserva che «questi anni non sono passati invano. Il processo di ambientalizzazione dell’ex Ilva di Taranto è al 91-92%, è uno degli stabilimenti più ambientalizzati al mondo. Ora bisogna puntare decisamente sulla decarbonizzazione». Forno elettrico sì, va bene, ma, avverte Gozzi «bisogna essere consapevoli del fatto che elettrificare e cioè passare totalmente alla produzione con forni elettrici, comporta una riduzione dell’occupazione. Un milione di tonnellate d’acciaio prodotto dal fondo elettrico ha un terzo, un quarto, degli occupati, di un ciclo integrale». Ricostruire l’altoforno 5 è imprescindibile ma, aggiunge Gozzi, «non avrebbe senso rifarlo per farlo funzionare per 3 o 4 anni. Se i 6 milioni di tonnellate che si ipotizzano nel piano industriale di Taranto fossero tutte prodotte da forno elettrico, ci sarebbe una forte riduzione dell’occupazione. Bisogna essere consapevoli se vogliamo essere coerenti e corretti con la definizione di una strategia di decarbonizzazione».

L'export e le Zes


Tornando a Bonomi, parla di export (si annuncia un 2023 positivo), di competitività (la sfida deve essere europea), di Mes (usiamo le risorse versate per un fondo sull’autonomia delle materie prime), di stretta della Bce sui tassi (stiamo attenti a non andare in recessione), ma tocca anche la lacerazione in Confindustria Taranto. «Confindustria è un’associazione libera - dice -. Chi si vuole riconoscere nella nostra azione e nei nostri valori tranquillamente può stare dentro, chi non si riconosce, ha il diritto di fare scelte diverse. Confindustria - rimarca - nei suoi 133 anni di storia ha sempre lavorato nell’interesse dell’industria, del Paese e di chi non è iscritto. Ricordo l’incontro avvenuto in Confindustria che ha riavvicinato Acciaierie d’Italia e i sindacati nazionali, che ha permesso al Mef di sbloccare i 680 milioni di investimento. Ma è stata la battaglia di Confindustria, nell’ultima legge di bilancio, a consentire di rifinanziare le Zes, a consentire di rifinanziare il credito di imposta che per un territorio come Taranto è fondamentale. E noi lo facciamo nell’interesse di tutti». Chiosa finale: «Confindustria c’è stata, c’è, ci sarà. Sempre». 

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