Una birra al sapore di cozza: il progetto nel carcere di Taranto

Una birra al sapore di cozza: il progetto nel carcere di Taranto
di Nicola SAMMALI
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Giovedì 3 Novembre 2022, 19:36

Una birra chiara, un po’ salata, leggermente speziata, al profumo di mare e al sapore di cozza tarantina. Verrà prodotta nel carcere di Taranto e avrà il marchio Birra Pugliese, diventato un simbolo per quei detenuti impegnati nel faticoso percorso di reinserimento sociale che comincia dietro le sbarre e prosegue, magari con un mestiere in tasca, una volta tornati in libertà. 

Il progetto

Il progetto Riscattarsi con gusto, ideato e curato dal mastro birraio Espedito Alfarano, è stato avviato nella casa circondariale Carmelo Magli, dove è nato un microbirrificio per la produzione della prima birra artigianale realizzata dai detenuti. Nel piccolo laboratorio si produce già una birra di tipo Ale (in particolare una Belgian Ale: ambrata, dolce, di gradazione alcolica medio-bassa), ma è stata sperimentata anche una ricetta che prevede l’utilizzo del pane raffermo (che altrimenti andrebbe buttato via), mentre un’altra (di tipo Gose) è in fase di studio e sfrutta tra gli ingredienti l’acqua di cottura delle cozze.

Una birra, quindi, molto legata al territorio, praticamente a chilometro zero. Alla cerimonia di apertura hanno partecipato il direttore dell’istituto penitenziario Luciano Mellone, il presidente del Tribunale di sorveglianza Lydia De Iure, il comandante della polizia penitenziaria Elena Vetrano, il presidente dell’associazione MondoBirra Piero Conversano, il parroco Nicola Prezioso, il direttore del progetto Alfarano e il detenuto Cosimo Cafueri, che nella produzione della birra ha trovato un’opportunità di riscatto (ne riferiamo in altro articolo). 

L'obiettivo

L’obiettivo di Riscattarsi con gusto è di formare i detenuti affinché, scontata la pena, possano cogliere un’occasione di lavoro, e di abbattere il rischio di recidiva (una vera piaga, «circa l’80% dei detenuti in Italia torna in carcere nel giro di pochissimo tempo»). Il microbirrificio è stato finanziato grazie ai fondi del ministero della Giustizia dedicati allo sviluppo di attività pensate per contrastare proprio il fenomeno della recidiva (le attrezzature, come il bollitore, il fermentatore, sono state acquistate con somme pari a 50mila euro); con l’aiuto di privati è stato invece possibile sostenere economicamente la formazione (a cui hanno preso parte una decina di ristretti) e l’assunzione regolare dei detenuti produttori di birra. 

L’idea, poi, è di mettere in piedi una rete di distribuzione capillare: «Attualmente siamo noi a proporla direttamente a pub e birrerie, nei prossimi mesi cercheremo di articolarla ulteriormente», ha spiegato Alfarano. «A pieno regime contiamo di produrre 6mila litri al mese, ma speriamo di crescere», ha aggiunto. Nulla si spreca nel processo di produzione della Birra Pugliese: oltre al recupero del pane raffermo, che diventa elemento centrale della ricetta, anche la crusca e l’orzo in avanzo nel post cottura verranno riutilizzati per realizzare biscotti e panettoni.
«Il nostro obiettivo è dare dignità a queste persone attraverso il lavoro: potranno acquisire delle competenze utili per il loro reinserimento sociale», ha commentato Conversano. Nel carcere più sovraffollato d’Italia c’è ancora spazio per la speranza. Nonostante le difficoltà quotidiane, sono numerose le attività svolte dai detenuti: «La soddisfazione è di riuscire a portarle avanti grazie all’impegno del nostro personale e delle associazioni. Riuscire a dare una possibilità ai detenuti per noi è fondamentale, perché il reinserimento non resti una parola vuota. Circa un centinaio di detenuti lavora nella nostra struttura». Il presidente De Iure ha ricordato che «la pena deve tendere alla rieducazione del condannato e al suo reinserimento». 

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