Mittal chiede sconti su acquisto e fitto, no di Ilva in As

Mittal chiede sconti su acquisto e fitto, no di Ilva in As
di Domenico PALMIOTTI
6 Minuti di Lettura
Giovedì 5 Maggio 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 14:36

Uno sconto sul prezzo finale di acquisto e un altro sul canone di fitto. Ovvero, rispettivamente, circa 200 milioni in meno e il taglio di un ulteriore 25 per cento sul canone. È la doppia richiesta che ArcelorMittal, socio privato di Acciaierie d’Italia (quello pubblico è Invitalia), ha avanzato al tavolo su cui si sta trattando la formulazione del nuovo contratto, o l’integrazione di quello in essere, visto che in questo mese lo Stato non salirà al 60 per cento del capitale dell’azienda di Taranto, nè l’attuale gestore acquisterà i rami di azienda dalla proprietà Ilva in amministrazione straordinaria, non essendosi verificate le condizioni dell’accordo di dicembre 2020 e tra queste il dissequestro degli impianti.

Ex Ilva, Mittal da Draghi: servono altre risorse

La risposta

Sulla duplice richiesta di ArcelorMittal è però già arrivato un doppio no della proprietà. Revisione del prezzo finale, dei canoni e della situazione patrimoniale sarebbero ritenuti aspetti critici nell’attuale discussione. Le trattative hanno già visto tre incontri tra ArcelorMittal, Invitalia e Ilva in amministrazione straordinaria, ciascuno affiancato dai propri legali. Un altro ve ne sarà la prossima settimana. Se si debba optare per un nuovo contratto oppure integrare quello che c’è, è scelta che sarà probabilmente fatta alla fine in base a valutazioni tecniche e giuridiche. Col nuovo patto si dovrebbe andare presumibilmente a fine 2023. In sostanza, si vuole attendere che passi agosto del prossimo anno, quando tutti gli interventi dell’Autorizzazione integrata ambientale (che Acciaierie d’Italia dichiara essere già stati eseguiti al 90 per cento) dovranno essere completati. A quel punto si ritiene che ottenere il dissequestro dovrebbe essere meno complicato. Più di un mese fa Ilva in amministrazione straordinaria ha presentato richiesta di dissequestro alla Corte d’Assise di Taranto. Che non ha ancora deciso sull’istanza così come la Procura non ha espresso il suo parere. Ma anche se non c’è alcuna decisione della Magistratura, da più parti si ritiene altamente improbabile che Palazzo di Giustizia accenda la luce verde sul dissequestro.

Ed è anche per questo si lavora alla revisione del contratto. 

Ex Ilva, Bernabè: «Taranto sarà il polo dell'industria verde»

La nuova battaglia sui fondi


Un impegno che in questi giorni si incrocia con la possibilità che in Parlamento si apra una nuova battaglia sui fondi da destinare all’ex Ilva per la decarbonizzazione dell’acciaio. Oggi nelle commissioni Industria e Finanze del Senato si dovrebbe cominciare a votare sul decreto “Taglia Prezzi” varato a marzo dal Governo, che tra le altre cose ha disposto che vadano alla decarbonizzazione 150 milioni ora nel patrimonio destinato, gestito dai commissari di Ilva, per la bonifica dall’inquinamento di una serie di aree non cedute ad ArcelorMittal a novembre 2018. I Cinque Stelle si oppongono a questo trasferimento. Lo prevede un emendamento del senatore pentastellato Mario Turco che il Mise ha bocciato. Ieri, però, il presidente dell’M5S ed ex premier Giuseppe Conte è tornato alla carica. Rispondendo ad una domanda su Ilva nella conferenza stampa sulla scuola di formazione politica, ha detto: “Siamo sempre lì. Sottrarre soldi alle bonifiche per destinarli al ciclo produttivo ammantato da decarbonizzazione, non corrisponde a quelle che sono le priorità per quanto riguarda i nostri obiettivi e infatti abbiamo votato contro”.  Mesi addietro, quando col decreto Milleproroghe era in gioco un trasferimento più sostanzioso (575 milioni), un fuoco di fila acceso alla Camera dalla maggioranza, Pd, M5S, Forza Italia e Italia Viva, a cui si unirono FdI ed esponenti del Gruppo Misto e di Alternativa, affondò l’operazione e cancellò l’articolo del Dl. Il premier Mario Draghi non la prese affatto bene e strigliò la maggioranza. Poi la guerra e la crisi del sistema industriale che si approvvigionava di ghisa e acciaio da Russia e Ucraina, hanno ridato centralità ad Ilva. Di qui l’annuncio del Governo di voler far produrre più acciaio all’azienda e i provvedimenti del Dl “Taglia Prezzi”: 150 milioni sulla decarbonizzazione e la garanzia pubblica di Sace a copertura del 90 per cento delle linee di credito che l’azienda dovesse attivare. Per ora solo il M5S ha detto no al “trasloco” dei fondi attirandosi le critiche di FdI. E sembrerebbe improbabile che si ripeta col “Taglia Prezzi” quanto successo col “Milleproroghe”. Sia perché il contesto è cambiato, sia perché la riallocazione di 150 milioni fu anche, su indicazione dei commissari, l’ipotesi di mediazione che si profilò - ma senza successo - nella discussione sullo stesso “Milleproroghe”. Tornando alle trattative sul contratto, c’è tra le parti una dialettica “importante”. Che alterna tensioni a parziali schiarite. ArcelorMittal sarebbe determinata nelle sue richieste di sconti, ma precisi sarebbero anche i paletti piantati dalla proprietà. 
L’ulteriore taglio del 25 per cento del fitto chiesto dal gestore non lo si ritiene possibile perché quei soldi servono a Ilva in As anche per pagare gli interessi sui finanziamenti avuti dallo Stato dopo il 2015. Si tratta di due provviste da 300 milioni ciascuna e di una da 400. Gli interessi stanno per ora correndo solo sui 400 milioni (per gli altri due finanziamenti il meccanismo scatterà dopo) e sono all’11 per cento su decisione della Ue del 2018. Da rilevare che a marzo 2020, a seguito dell’intesa con Ilva in as che scongiurò l’abbandono da parte della multinazionale, ArcelorMittal ottenne già uno sconto sul 50 per cento del canone, con pagamento differito all’atto dell’acquisto. Il contratto iniziale stabilì 180 milioni di fitto all’anno. Col 50 per cento in meno sono diventati 90, pari a 22 milioni e 250mila euro a trimestre, e ora Mittal chiede di scendere ancora. Ma c’è battaglia anche sul prezzo di acquisto dell’azienda. Il contratto ha fissato 1,8 miliardi, cifra da cui vanno detratti i canoni di fitto versati. Mittal osserva che la situazione patrimoniale dell’azienda nel 2017, quando fu fissata l’asticella a 1,8 miliardi, non è quella del 2018, quando poi c’è stato l’effettivo subentro nella gestione. Chiede quindi circa 200 milioni di riduzione che però Ilva in as non è disposta a dare, forte anche di una consulenza specialistica. Conflitto anche per una nave acquistata da Mittal, la Ursa Major, che fa parte di Ilva servizi. Mittal dice di aver acquistato l’unità incidentata e rivendica parte dell’indennizzo assicurativo che ha invece incassato Ilva in as. Questo, tuttavia, sarebbe solo un fatto di dettaglio perché lo scontro maggiore resta sui soldi. E la proprietà resta per ora ferma sia sul prezzo che sugli elementi di aggiudicazione.

© RIPRODUZIONE RISERVATA