Anno 1903, donne tarantine al dibattito sul divorzio: il vescovo Jorio le scomunica

Palazzo degli Uffici
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di Anita PRETI
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Domenica 5 Maggio 2019, 09:20
Nella prima domenica di maggio non si può che parlare di maggio. E con una potente carrellata all'indietro si arriva subito al 1900. Due problemi subito sul tavolo della discussione collettiva: i lastrichi del Borgo, il quartiere moderno che sta nascendo verso est al di là del ponte, e il ripetersi di furti in Arsenale.
La modernità ha un prezzo, ma dispiace davvero pagarlo se è questo. L'assistenzialismo di Stato, invocato dal concittaddino e senatore del Regno Cataldo Nitti, che è stato il più fervido sostenitore dell'esigenza di questa fabbrica militare, provoca (come decenni dopo accadrà con l'arrivo dell'Italsider) uno stravolgimento dell'assetto cittadino, un rimescolamento delle classi sociali, uno sviluppo troppo veloce. Siamo lontani dall'etica di Lev Tolstoj, l'autore dei romanzoni in voga Anna Karenina, Guerra e pace, che si dice stupito anzi terrorizzato dalla miseria urbana, quella morale più di quella reale. Del grande scrittore e pensatore viene a parlare a Taranto un conferenziere titolato, Francesco Rubichi, avvocato e umanista napoletano appena celebrato nel centenario della scomparsa avvenuta a Lecce.
Gente che va gente che viene. Arriva anche un rappresentante della nobile famiglia de Baroncelli de Javon nella quale Jacques cineasta prolifico è l' autore del successone I misteri di Parigi e Folco resta legato alla sua terra, la Camargue, che fa conoscere al resto dell'Europa. Di nobiltà in nobiltà, il 31 del mese la Voce del Popolo, il periodico più diffuso, fa sapere che sua maestà il Re ha conferito il titolo di conte a Roberto D'Ayala.
A maggio di solito scoppia un caldo terribile, il primo assalto delle temperature. Per darsi un po' di fresco non resta che comperare un bel ventaglio dalla ditta Antonio Dragone, nella prima sede in via Duomo. Sarà utile anche per la serata di beneficenza in programma, un anno dopo, al Politeama Paisiello organizzata da Carlo Paladini, in questa occasione declama versi la signora Quintieri.
Nel 1903, a metà maggio, tuona l'arcivescovo Pietro Jorio: Un grave scandalo è avvenuto nella nostra città: si tenne una conferenza a favore del divorzio, cui presero parte anche coloro, specie donne, che si professano seguaci del cattolicesimo. Costoro, certo, non potranno avere l'assoluzione senza speciali facoltà.
Dieci anni dopo, sempre a maggio, grande concorso di fedeli (scrivono i giornali e lo riporta Peppino Francobandiera ne La città al Borgo) perché si riapre al culto la restaurata chiesa del Carmine.
E' adesso il 1914: tre sere di gioiosa partecipazione del pubblico a quel travolgente spettacolo che è il Ballo Excelsior in programma al teatro Eden.
Primi giorni di maggio del 1928, all'Orfeo impera il cinema muto: si proietta Il manto di ermellino girato dal regista Jimmy Flood con Corinne Griffith che è la Kidman dell'epoca. Ma impera anche dell'altro: in piazza Mastronuzzi si proietta L'Italia di domani, un documentario confezionato dall'Istituto Luce per convincere gli italiani che il fascismo è un autentico portento. Per controllare de visu la fedeltà jonica e per convincere di persona i tarantini il 5 maggio arriva Achille Starace. Non dovrebbe fare molta strada perché è di Gallipoli, invece arriva da Roma perché in quel preciso momento storico è il potente segretario del Partito Nazionale Fascista. In suo onore viene requisito l'Alhambra, il teatro più bello, dove la sera prima ha cantato il grande tenore Tito Schipa.
Essendo maggio si aspetta la festività di San Cataldo mentre sulla città infuria una infezione tifoidea. Passato il santo, passata la festa come si usa dire, l'Alhambra spalanca le porte ad un'attrice famosa, Maria Melato, che porta a Taranto il D'Annunzio de La figlia di Jorio. Novità dal versante occidentale della città: a Porta Napoli vengono demoliti i magazzini generali per far posto a un rettifilo. Prove generali di più devastanti demolizioni.
Viene considerata ancora oggi un capolavoro La festa di Montevergine di Raffaele Viviani. Il grande uomo di teatro porta all'Alfieri questo nuovo lavoro, a fine mese. Già altre volte ha scelto Taranto per far debuttare i suoi spettacoli, la considera un porto sicuro.
Pochi anni dopo, archiviata la Prima Guerra Mondiale e a poca distanza dalla seconda, la testa fresca di alcuni tarantini riluce come sempre: balli, ricevimenti, premiazioni. Ma il 20 maggio 1933, mentre all'Orfeo si esibisce con la sua compagnia Anna Fougez, c'è una bella notizia per tutti. Scrivono i giornali: E' di prossima inaugurazione il Teatro della Pineta nei giardini pubblici, un luogo d'incanto e di suggestiva bellezza, una perla della città jonica. Si arricchisce così la ricca offerta di luoghi per lo spettacolo a Taranto. E le compagnie si contendono la piazza.
All'Orfeo, prima della Fougez, è arrivato il grande attore siciliano Angelo Musco: ha in programma quattro recite. Al Vittoria prima della compagnia di operette di Oreste Trucchi, è il turno di Achille Majeroni, un Carneade per gli spettatori di oggi ma non per Federico Fellini che lo volle ne I vitelloni.
Il cinema la fa da padrone. Sullo schermo del Paisiello, nelle stesse sere della Fougez, c'è, in bianco e nero, Emma Gramatica ne La fortuna di Zanze; al Fusco il celeberrimo film di Gennaro Righelli L'armata azzurra ode all'aviazione militare (Liala, facendo lo stesso, ha appena iniziato la sua carriera di romanziera con Signorsì). Ma l'imperante fascismo usa questo film per fare propaganda bellica. Anche Taranto si attiene all'ode al Regime: esiste un teatro Mussolini dove, una sera di maggio, Angelo Peroni tiene un concerto. Per non farsi mancare niente ci sono anche Dux, Imperiale, Impero.
Alle adunate del fez, che ormai si moltiplicano dinanzi al podestà di turno, risponde, almeno in tema di presenze, il mondo cattolico. Il 2 maggio 1937 una folla straripante si unisce all'arcivescovo in carica, monsignor Ferdinando Bernardi, per partecipare in qualche modo, sia pure da esterna, al primo Congresso Eucaristico jonico. Giuseppe Cravero, nella Strenna perpetua tarantina ricorda che durò ben otto giorni e quindi, facendo un po' di conti, si è a ridosso della festa di San Cataldo: u pregge, la Tarantola (l'imbarcazione messa a disposizione dalla sempre solerte Marina Militare) mobilitata per la processione a mare, l'equivalente a terra. Tutto come oggi. Meno la statua che era in purissimo argento forgiato da Vincenzo Catello, artigiano dell'istituto Casanova di Napoli. Un giorno s'involò: la statua, non Catello. Ed era la seconda destinata, negli ottimi intenti di monsignor Pietro Jorio (sempre lui), a sostituire nel 1891 la precedente risalente a qualche secolo prima.
Un altro arcivescovo, che molti hanno conosciuto, monsignor Guglielmo Motolese, è impegnato invece (ma deve passare ancora mezzo secolo in questa cronologia) in una cerimonia civile il 19 maggio 1956: si inaugura la galleria comunale sotto il Palazzo degli Uffici. Incredibile a credersi quel che Cravero, nel suo libro, racconta di questo futuro e perenne buco nero nelle vicende della comunità: stupenda galleriaaddobbata da vetrine sfolgoranti al neon e contornata da modernissimi banchi di vendita, con graziose commesse comprendeva: abbigliamenti vari, pellicce, borsette, bigiotteria, profumi, salottini d'esposizione, cancelleria, ricevitoria per giuochi vari, edicole di giornali, di libri, rivendita di tabacchi, bar ristoro, salette di contrattazione, di scrittura, di stampa, agenzia di certificati, cabine telefoniche, impianti stereofonici, altoparlanti e un decente albergoo diurno. Durò il tempo di una rosa.
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