Panatta: «I 70 anni, che seccatura. La felicità dura un attimo»

Panatta: «I 70 anni, che seccatura. La felicità dura un attimo»
​Panatta: «I 70 anni, che seccatura. La felicità dura un attimo»
di Romolo Buffoni
6 Minuti di Lettura
Mercoledì 8 Luglio 2020, 01:20 - Ultimo aggiornamento: 11:44

Panatta è a Forte dei Marmi con due giorni di anticipo sul suo compleanno: sarà una grande festa dei 70 anni?
«Macché, giusto una cena con figli e nipoti. Spero nemmeno mi facciano la torta, non sono per le celebrazioni io».

Le dà così fastidio che la cerchi tanta gente per festeggiarla?
«No, per carità. E’ che uno finisce per dire le stesse cose».

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Paolo Bertolucci è di Forte dei Marmi: per una sera si ricomporrà il mitico doppio azzurro che vinse la Davis? O non ha invitato nemmeno lui?
«Paolo credo sia già qui e certo che lo chiamerò, spero passi almeno per il brindisi».

Panatta, i miti invecchiano?
«L’importante è che non succeda a me! A parte gli scherzi, mi sento abbastanza in forma e non ho acciacchi seri».

Ma una situazione in cui un giovane non la riconosce come nella scena de La Profezia dell’Armadillo le è mai capitata?
«Ma quello è un film, è finzione. Ma sa che le dico? Che per me non è un problema se la gente mi riconosce o no. Non è una cosa a cui penso minimamente».

Da vincente qual è, è bastato quel cameo nel film tratto dal libro a fumetti di Zerocalcare per farle vincere un premio, il Nastro d’argento: il cinema può essere una nuova opzione?
«Onestamente non ci ho mai pensato. Non so se sarei all’altezza».

Insomma, niente feste per i 70 anni, niente cinema. Ormai fa vita ritirata a Treviso...
«Ci si vive proprio bene. Città curata e organizzata molto bene. È il mio buen retiro».

E poi lì c’è l’amore no?
«Sì, è la città della mia compagna (Anna Bonamigo, che fa l’avvocato ndr)».

E Roma?
«E’ caotica. Sarà l’età ma ormai ci resisto poco».

Si può paragonare con la “sua” Roma, quella degli anni 70?
«Ma de che? Roma oggi è un’altra cosa. E’ cresciuta, si è allargata e un po’ incarognita».

In che senso?
«La gente è diventata meno tollerante, c’è un traffico impossibile. Auto parcheggiate in seconda, terza fila. E’ una grande metropoli. C’è chi ama vivere a New York, io lì potrei impazzire».

E’ solo colpa delle dimensioni esagerate o è anche governata male?
«Guardi, io ho fatto il consigliere comunale con sindaco Rutelli, nel suo secondo mandato (dal 1997 al 2000, ndr) e so quanto è difficile seguire una città così grande. Ogni giorni ti devi confrontare con mille problemi. Ma, tanto per essere chiari, Roma rimane la città più bella del mondo».

Se qualcuno le proponesse di candidarsi sindaco? Ci penserebbe?
«Ma che è matto? E’ il mestiere più difficile del mondo. E’ una jattura. E’ come candidarsi al martirio».

Ci racconta un frammento della sua di Roma?
«Quella by night che oggi chiamano movida era diversa. Noi andavamo a cena da qualche parte e poi ci ritrovavamo in un locale, prima il Number One poi il Jackie O’ e ci divertivamo lì. Oggi li vedi tutti fuori, per strada, con in una mano il bicchiere e nell’altra il telefonino. Ma poi che si raccontano?»

Non prova nostalgia?
«Roma è una bellissima donna un po’ sciupata, con qualche ruga e qualche difetto, a cui però bisogna voler bene. E’ talmente speciale che solamente chi non è romano può non capirlo».

Lei iniziò a giocare al Circolo Parioli dove suo padre faceva il custode, ma in quale quartiere è nato?
«Io sono di viale Tiziano, Flaminio. Poi a 10 anni papà venne assunto dal Coni e ci trasferimmo all’Eur davanti al centro sportivo Tre Fontane».

Lì si allenava la Roma, è il motivo del suo tifo?
«No, non ricordo come nacque l’amore per i giallorossi. Tanto più che mio padre era laziale. Chissà...».

Però si ricorda quando durante una partita degli Internazionali tardò a servire perché si volle informare se la Roma avesse segnato?
«Sì, come no. Si sentì un boato così fragoroso. La squadra se la passava male, rischiava la B, era un gol importante».

Il 1976 è stato il “suo” anno: vittoria agli Internazionali battendo l’argentino Vilas e del Roland Garros superando l’americano Solomon. Quindi a fine anno la Coppa Davis a Santiago del Cile indossando le maglie rosse anti-Pinochet. Eravate consapevoli del livello di provocazione per il regime?
«Certo, altrimenti non lo avremmo fatto. Ma qui non se ne accorsero subito, tant’è vero che se ne è parlato trent’anni dopo...».

La conserva ancora quella maglia?
«No, non ce l’ho più. Non ho conservato niente della mia carriera. Gliel’ho detto: non mi piacciono le celebrazioni».

Ricorda l’attimo di quella stagione magica in cui pensò: “sono arrivato in cima, ce l’ho fatta”.
«La felicità dura qualche secondo e anche con un pizzico di cinismo ricordo che pensai “domani me tocca ricomincià da capo...”».

Direi romanità al 100%. E il ‘76 diede i natali a un certo Francesco Totti, campione romano amato nel mondo. Il suo erede insomma.
«Lui è un idolo assoluto. Talmente una brava persona da non aver mai sentito parlar male di lui e del resto come fai a volergli male a un ragazzo così?».

Alla Roma sembra che non glie ne abbiamo voluto poi così tanto...
«Ma quella non è più la Roma, con questi americani che vanno e vengono... L’ultima Roma per quanto mi riguarda è stata quella dei Sensi».

Invece il tennis dove si è fermato? A Federer, a Nadal o a Djokovic?
«A Federer, fuoriclasse assoluto».

Lui a quasi 39 anni “ricomincia da capo” da un pezzo per dirla alla Panatta...
«Roger è longevo perché non si è mai fatto male veramente, gioca un tennis morbido e poi ha la testa giusta». 

Invece Panatta si è dedicato anche ad altri sport, tanto da essere fra i rari campioni del mondo in due discipline: tennis con la Davis e motonautica offshore in cui trionfò nel 2004. Una passione che la portò spesso a Monte Carlo, altra sua città.
«Nel Principato andavo sempre volentieri e avrei voluto vincere il torneo, fra i più prestigiosi. Ma per riuscirci avrei dovuto chiudermi in camera con tre mandate...».

Ahia, doppio fallo Panatta! Mi costringe a chiederle delle sue distrazioni. Della Dolce vita, della Bertè e Renato Zero, di Paolo Villaggio, Ugo Tognazzi...
«No guardi, se ne sono dette tante di fregnacce. Io mi distraevo quando me lo potevo permettere».

Se per magia oggi si trovasse davanti il ventenne Adriano Panatta cosa gli direbbe?
«Di fidarsi di meno delle persone. Ho avuto tantissimi amici, ma anche qualche delusione.
Solo che io non serbo rancore. Me ne dimentico. E sto meglio. Mi scusi ma adesso dovrei andare, sa i preparativi...».

Un ultimo pensiero per Ennio Morricone, altro romano che ha dato lustro all’Italia nel mondo scomparso lunedì.
«Ho avuto la fortuna di conoscerlo. Persona eccezionale, genio sbalorditivo e dimostrazione della capacità dell’Italia di tirare fuori talenti straordinari».

Come Roma per il tennis: Pietrangeli, Panatta e Berrettini?
«Cos’è? Una formazione calcistica? Ora devo proprio salutarla».
 

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