Djokovic in stato di fermo. Gli avvocati: «Non è un pericolo per la salute pubblica»

Djokovic è di nuovo in stato di fermo fermo in Australia
Djokovic è di nuovo in stato di fermo fermo in Australia
di Vincenzo Martucci
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Sabato 15 Gennaio 2022, 00:49 - Ultimo aggiornamento: 11:35

«Non sono pericoloso, non sono un martire, non sono una bandiera No vax». Questa è l’ultima linea difensiva in tribunale di Novak Djokovic contro la seconda cancellazione del suo visto in Australia da parte del ministero dell’Immigrazione. Così ha ottenuto, ieri sera, una prima udienza dei suoi legali davanti al giudice (che è stato seguito in diretta YouTube da 45 mila persone); oggi l’audizione davanti allo stesso Anthony Kelly della Federal Circuit and Family Court di Melbourne che aveva annullato la prima cancellazione del visto; e domani sera la decisione dell’appello per poter partecipare alla prima prova stagionale Slam al via lunedì malgrado non sia vaccinato contro il Covid né abbia fatto quarantena. Il serbo ora è di nuovo in stato di fermo e i legali che rappresentano le parti hanno convenuto sull’opportunità di optare per un luogo sconosciuto per la detenzione del tennista.

CONTRO LA PANDEMIA
«Ho esercitato oggi il mio potere in base alla sezione 133C(3) del Migration Act per cancellare il visto di Novak Djokovic per questioni di salute e di buon ordine, considerando che fosse di pubblico interesse farlo.

Ho attentamente considerato le informazioni che mi sono state fornite dal Department of Home Affairs, dall’Australian Border Force e da Djokovic. Il governo Morrison è impegnato fermamente a proteggere i confini australiani, soprattutto in materia di contrasto alla pandemia da Covid».

Al dispositivo di Hawke si sono opposti i legali del campione serbo con a capo Nick Wood: «Il ministro non ha basi razionali per poter affermare che la sua decisione non porti a un consenso ancora più ampio anti-vaccini». E quindi il numero 1 del mondo, dopo aver il primo appello del 10 gennaio per vizio di forma, adesso ne vuole vincere un secondo non sulla sostanza che è evidente, ma sulla filosofia. Lui che pure ha l’aggravante di aver violato la quarantena nei paesi dove ha stazionato dal 16 dicembre, Serbia e Spagna, dopo aver denunciato di aver avuto il Covid. Un Covid peraltro dubbio, come puntualizzato da più fonti giornalistiche che hanno rilevato incongruenze sulle date dei documenti presentati da Djokovic per ottenere la fantomatica esenzione medica prevista solo per i residenti in Australia e solo con comprovate motivazioni di non aver potuto effettuare il vaccino. Perché mai davanti agli errori ammessi dello stesso Djokovic e alle incongruenze emerse che potrebbero contemplare anche provvedimenti penali il ministro australiano ha scelto un percorso diverso? Qualcuno ipotizzi che le parti sarebbero d’accordo proprio per evitare guai peggiori al campione serbo.

Se il ricorso non dovesse essere accolto, Novak verrebbe solo rispedito a casa senza poter difendere il titolo degli Australian Open che ha vinto negli ultimi tre anni: se la caverebbe così (rischia fino a tre anni di interdizione dal Paese). Altrimenti, se in conformità alle ultime normative l’Atp accertasse che Nole ha falsificato il risultato di un tampone, per esempio, rischierebbe lo stop sempre di tre anni dall’attività sportiva. «Secondo me ha pestato una m... È diventata una storia surreale», ha detto Adriano Panatta a Radio Capital. Di sicuro, il numero 1 del mondo ha subito un incommensurabile danno all’immagine, non solo nella corsa al titolo di «Greatest Of All Times» (il più grande di tutti i tempi) nello sprint con Roger Federer e Rafa Nadal, ma come esempio. Al di là della bravura dei legali e del peso del suo nome in un paese di vaste dimensioni ma che non s’è mai liberato dell’etichetta di «refugium peccatorum» (eufemismo) dei peggiori ceffi del pianeta e si sente piccolo. Come potrà rimettere piede nel suo mondo dopo questa brutta storia? Come potrà riproporsi come difensore degli oppressi nel nuovo sindacato contro l’Atp dopo aver calpestato le regole?

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