Tra i predecessori di Meret e Reina, giovedì sera avversari in Napoli-Lazio, ve n'è stato uno davvero particolare. Claudio Garella, torinese 1955, torinese. Ai tempi della Lazio (1976-1978) era soprannominato Paperella, in quelli del Napoli (1985-1988) Garellik. Conclusa la carriera trent'anni fa ad Avellino, Garella è uscito dal grande giro. Allenatore e dirigente di squadre minori piemontesi, tutto qui. «Perché il calcio mi ha dimenticato? Perché non mi sono mai piegato e perché non frequento i giri giusti», spiegò in una delle rare interviste.
Claudio era arrivato ventenne a Roma. Lo volle Luis Vinicio, 'O Lione che un anno prima aveva sfiorato lo scudetto sulla panchina del Napoli. Un grande innovatore del calcio che, come il suo fidato vice Alberto Delfrati, rimase colpito dalla prestanza fisica di quel giovane portiere del Novara. Un anno alle spalle del mito Felice Pulici, poi nel '77 la svolta: Garella titolare. E qui cominciarono i guai. Trentasei gol subiti in 29 partite di campionato, le contestazioni della tifoseria biancoceleste dopo gli errori nelle gare europee contro il Leeds, così marchiani da essere definiti “garellate” da un autorevole commentatore televisivo come Beppe Viola. Nessuno avrebbe immaginato che pochi anni dopo Garella avrebbe vinto due scudetti con due squadre che non lo avevano mai conquistato.
Il primo tricolore nel 1985 a Verona, dove Garella - soprannominato Garellik per le sue straordinarie parate con tutte le parti del corpo - fu uno dei protagonisti nella favola gialloblù scritta da Osvaldo Bagnoli.
Di stile ne ebbe pochissimo - ed ebbe l'onestà di riconoscerlo a distanza di tempo - nei confronti dell'allenatore Bianchi quando capeggiò la rivolta del maggio '88. Il Napoli difese il tecnico e mandò via Garella, Bagni, Ferrario e Giordano, indicati come i capi della ribellione dello spogliatoio. La sua carriera in pratica finì in quei giorni caldissimi, a distanza di un anno dalla festa tricolore. Vinse due scudetti in tre anni ma non ebbe mai la gioia di ricevere la telefonata di un commissario tecnico della Nazionale per la convocazione. L'unico rimpianto prima di sparire dal palcoscenico.