Irma Testa, medaglia storica: «E ora tutti zitti, la boxe siamo noi donne»

Irma Testa
Irma Testa
di Gianluca Cordella
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Giovedì 29 Luglio 2021, 07:30

dal nostro inviato

TOKYO Vola come una farfalla, pungi come un’ape. Irma Testa fa entrambe le cose. Sul ring svolazza come una «farfalla pazza», come diceva il suo primo maestro, e punge come uno sciame di api regine. Lo sa anche la canadese Caroline Veyre, battuta con verdetto unanime nei quarti del torneo olimpico, 57 chili. Un successo che garantisce all’azzurra una medaglia (nella boxe gli sconfitti in semifinale sono bronzo ex aequo) e all’Italia un podio storico, il primo conquistato da una pugile. «Non ho ancora capito quello che è successo ma solo perché il torneo non è finito. Avessi già la medaglia al collo sarei al settimo cielo. Ma c’è ancora da fare».
Il “da fare” è la filippina Nesthy Petecio, ultimo ostacolo verso la finale. Però da oggi è comunque nella storia dello sport azzurro…
«Credo che quello che sto facendo sia molto importante per il movimento femminile. In questo senso, sì, può essere qualcosa di storico. Non tanto per la medaglia in sé».
A proposito: la squadra femminile aveva la pressione di dover rappresentare tutta la boxe italiana, visto che gli uomini non si sono qualificati. Avete già fatto meglio di Rio...
«Io sono molto felice per quello che ho fatto e basta. Poi tutti i colleghi del pugilato hanno gioito con me, ho ricevuto un sacco di messaggi».
E a quelli che ancora dicono che la boxe non è per donne?
«Non c’è nemmeno una risposta da dare».
Si sente leader del movimento?
«Nel mio piccolo un pochino sì, anche se leader è un parolone. Ma se può servire ad avvicinare sempre più ragazze al nostro mondo e a dare credibilità al pugilato femminile è un ruolo che accetto volentieri».
Da leader, allora. Come sono le sue compagne di squadra?
«Una forza della natura. Ragazze in gamba che ci mettono sempre il cuore. Hanno tutte le carte in regola per andare avanti e io lo spero. Il nostro è un lavoro di squadra che dura da cinque anni e sarebbe bellissimo vederle sul podio come me».
Sono i Giochi dello stress, dalla Biles alla Osaka. Cos’è che schiaccia queste campionesse?
«Il periodo terribile che abbiamo vissuto prima di Tokyo. Dal punto di vista sportivo, abbiamo avuto gare interrotte, eventi che saltavano, eccetera. Capisco possa essere molto stressante per una grande campionessa come la Biles, che spinge il proprio fisico sempre al limite, essere alle Olimpiadi, non sentirsi al massimo e sapere che comunque tutti si aspettano il tuo oro».
A lei è mai capitato?
«Sì, mi sentivo così quando sono andata a Rio. Prima e dopo quelle Olimpiadi ho attraversato i due momenti forse più difficili della mia vita. Non riuscivo a vivere bene quello che mi stava capitando. Nel caso della Biles è tutto questo più mille: non oso immaginare come dev’essere sentirsi così».
Quell’esperienza l’ha aiutata a crescere?
«Adesso mi sento più matura, ho più consapevolezza di me stessa. Non solo sul ring, ovviamente».
Cosa la manda ko?
«L’ingiustizia e gli abusi di potere».
Ha detto di combattere meglio senza pubblico.
«Il silenzio è utile, perché posso ascoltare quello che mi dicono dall’angolo e anche la cosa più piccola può aiutarti a cambiare un incontro».
Com’è il tempo libero al Villaggio olimpico?
«Social, musica, tante chiacchiere».
Incontri con colleghi vip?
«Ogni tanto capisco che ne è passato uno perché vedo gli altri che si fanno i gesti ma io con ‘ste mascherine manco li riconosco».
Avere un docufilm sulla propria vita, “Butterfly”, è una cosa da atleta vip.
«Emozionante. In quel film mi sono rivista crescere, ho visto l’evolversi di tante cose e come sono diventata quello che sono».
E chi è? Un’atleta che lotta per l’oro?
«No! Io sono super scaramantica, quella parola non la pronunciamo proprio».
Ha degli oggetti portafortuna allora?
«Tanti, come i riti da fare durante i tornei e il giorno dell’incontro. Ci tengo molto perché davvero sono tanto scaramantica: non posso dire nemmeno quali sono gli oggetti portafortuna sennò perdono di efficacia».
Cosa le manca dell’Italia?
«La mia famiglia, mia nipote che è nata da quattro mesi e l’ho vista pochissimo. La pasta».
Napoli ha festeggiato la sua medaglia e quella del canottaggio.
«Per Napoli è stata una grandissima giornata di sport. Peccato per Bruno Rosetti fermato dal Covid. Veder sfuggire così una medaglia deve fare una rabbia pazzesca. Gli auguro di cuore di potersi rifare».
Servirebbe, come messaggio, il “panta rei” che ha come tatuaggio.
«Tutto scorre. L’ho fatto in uno di quei momenti difficili di cui parlavo, per ricordarmi che anche il dolore non resta mai fermo, ma passa e se ne va. Lo trovo un insegnamento da tenere sempre a mente. Dopo un momento no, arriva il sole. E viceversa».
Si tatuerà anche i cerchi olimpici?
«Solo quando smetto, prima porta sfiga.

Ho fatto il tatuaggio di Rio prima delle Olimpiadi e visto com’è andata ho detto che quello di Tokyo stavolta me lo faccio dopo».

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