L'analisi tattica/ Con la Roma decisivo il pressing alto del Lecce

Il pressing alto portato dal Lecce
Il pressing alto portato dal Lecce
di Michele TOSSANI
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Lunedì 13 Febbraio 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 06:42

Contro la Roma, una delle big della serie A, è arrivata la conferma. Il Lecce non solo ha ritrovato la forma migliore, come aveva già dimostrato a Cremona, ma ora può contare anche sulla condizione eccezionale di alcuni degli elementi a disposizione del tecnico Marco Baroni.
In questo senso è stato emblematico soprattutto il primo tempo, durante il quale il Lecce ha spinto, cercando di andare a contrastare la squadra di Josè Mourinho fin dalla fase di costruzione. Non a caso l’indice PPDA del Lecce (che quantifica l’intensità di un pressing che è tanto più alto quanto minore è il dato) è stato di appena 9.8.

L’organizzazione difensiva dei padroni di casa è stata alquanto brillante. Baroni ha chiesto ai suoi di mantenere la linea difensiva alta e la squadra corta e di andare ad aggredire il portatore di palla marcando gli appoggi vicini e cercando soprattutto di oscurare le linee di passaggio maggiormente utilizzate dalla Roma, vale a dire quelle che dai centrali di difesa (Mancini, Smalling, Ibanez) raggiungono i trequartisti Dybala e Pellegrini passando spesso prima dai quinti. 
Proprio per ostacolare Zalewski e El Shaarawy, sia Gendrey che Gallo avevano il compito di alzarsi per andare a contrasto dei laterali della Roma.

In generale ogni leccese doveva essere aggressivo sull’avversario in possesso palla, per evitare che quest’ultimo si girasse e potesse così giocare facilmente in verticale. L’azione del gol pugliese nasce proprio da una pressione forte portata su Ibanez, il giocatore romanista maggiormente in difficoltà quando si tratta di gestire il possesso sotto pressione.

Hjulmand decisivo

In questo contesto diventava fondamentale la funzione svolta da Hjulmand. Con i tre attaccanti della Roma gestiti dai quattro difensori del Lecce, il danese ha svolto compiti da libero davanti all’ultima linea, avendo facoltà di restare basso a schermare la linea, alzarsi in pressione o scivolare lateralmente sul lato palla per dare man forte al pressing dei suoi. 
Un lavoro svolto egregiamente tanto è vero che il capitano del Lecce ha registrato a fine partita il dato più alto in termini di palle recuperate fra tutti coloro che sono scesi in campo (16). La prova di Hjulmand si rivelava preziosa anche in regia con i suoi 61 palloni giocati, lo stesso quantitativo di Umtiti, l’altro regista della formazione salentina. Il centrale francese fra l’altro è stato il migliore in campo, sfoderando l’ennesima prova d’autore difensiva.
In fase di possesso il Lecce, per evitare la pressione romanista, sceglieva quasi sempre la soluzione diretta verso Colombo, per andare poi a cercare la seconda palla. A dar fastidio alla Roma era in particolare il movimento di Strefezza, che sovente andava ad agire nei corridoi centrali del campo in zona di rifinitura. E infatti l’italo-brasiliano ha ricevuto 5 palloni oltre almeno una linea difensiva avversaria.

Il secondo tempo

Nella ripresa poi il Lecce ha provato a utilizzare maggiormente i terzini in attacco, dato che entrambi potevano sfruttare lo spazio concesso dai due laterali della Roma che andavano subito ad abbassarsi per formare una linea a cinque, senza però utilizzarli abbastanza sui cross (solo 2 sui 13 cercati dal Lecce sono partiti dai piedi di Gendrey e Gallo). Nei secondi quarantacinque minuti di gioco è cresciuta anche la prestazione di Colombo, a suo agio nelle vesti di pivot offensivo incaricato di difendere e gestire palla per legare il gioco nella trequarti d’attacco. 
Alla fine il pareggio ci può stare. La Roma avrebbe meritato qualcosa in più in virtù delle occasioni create, con Falcone che si è eretto a protagonista con almeno tre interventi importanti. Ma il Lecce non ha demeritato di fronte ad un avversario superiore, sprecando nel finale di gara anche un paio di contropiedi che potevano e dovevano essere gestiti meglio.

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