Lecce, mister Baroni: «I giovani al centro del nostro progetto. Per la salvezza c'è ancora tanto da fare»

MIster Marco Baroni nella redazione del Nuovo Quotidiano di Puglia
MIster Marco Baroni nella redazione del Nuovo Quotidiano di Puglia
di Lino DE LORENZIS
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Mercoledì 25 Gennaio 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 10:07

Mister Baroni, come è stato possibile in così poco tempo dare un’identità ad una squadra ampiamente rinnovata e per giunta ricca di tanta gioventù?
«Con l’area tecnica, con la società e con la nostra gente siamo riusciti velocemente a far capire a questi ragazzi cos’è Lecce, cos’è il Salento, e qual è il significato di indossare questa maglia. Lo abbiamo fatto con coraggio, con sacrificio, con compattezza. Questa è stata per me la cosa più importante inizialmente, poi piano piano siamo riusciti anche a costruire un’identità e sull’identità anche le prestazioni che hanno portato risultati importanti».
Ad inizio stagione si è ritrovato senza difensori centrali di ruolo al punto ed è stato costretto cambiare ruolo a Baschirotto. Un’intuizione che poi si è rivelata straordinaria.
«Devo dire che nei momenti di difficoltà la squadra ha sempre tenuto bene il campo e questo ci ha permesso di capire anche come bisognava approcciarsi alla serie A. Quando hai un gruppo di giovani, molti dei quali sono esordienti in questo campionato, è sempre molto complicato doversi misurare con gli altri nei duelli, nei confronti. Noi però lo abbiamo fatto con i tempi giusti e ben presto abbiamo trovato anche i risultati. Certo, ci sono state pure le sconfitte e in alcune di queste la squadra ha capito che magari si poteva osare di più, alzarsi di qualche metro».
La sensazione è che nel Lecce qualcosa sia cambiato nel momento in cui avete messo in campo una proposta di gioco un po’ più offensiva, alzando anche la linea del pressing e il baricentro complessivo della squadra.
«Prima probabilmente è stato il timore della categoria a frenarci. Se andiamo ad analizzare ad esempio il primo tempo giocato con la Fiorentina ci accorgiamo che è stato di ottimo livello. Abbiamo fatto un gol, ne potevamo fare un altro e più in generale abbiamo messo in grande difficoltà i viola giocando con aggressività».
Gli allenatori non amano mai parlare dei singoli ma è giusto soffermarsi su Blin, un ragazzo che ad inizio stagione sembrava dovesse andare via e che invece è rimasto. Si aspettava questa crescita del francese?
«Ho cercato di smarcarmi dalla domanda diretta su Baschirotto e adesso torna a bomba con Blin... Non mi piace parlare di prestazioni, preferisco parlare di modelli. Una squadra deve sempre avere dei modelli, dei riferimenti, così come l’allenatore deve dare al gruppo il senso dell’equità anche se poi non è mai facile perché alla fine sai di avere 25 calciatori a disposizione e di questi undici vanno in campo dall’inizio e altri cinque entrano dopo. Proprio questi cinque per me sono fondamentali perché entrano in campo nelle fasi delicate dei match, quando c’è da cambiare un risultato o difenderlo. Per questo io do un grande valore a chi entra dalla panchina. L’allenatore deve essere un riferimento per la squadra, non deve mai guardare a quello che è stato un calciatore o al nome che ha ed in questo senso non faccio sconti nessuno. Posso aggiungere che a volte si diventa modelli anche senza parlare ma agendo e noi abbiamo dei giocatori che agiscono, che diventano dei modelli lavorativi per tutti nella professionalità, nella dedizione, nella capacità di farsi trovare sempre pronti. Alex è sicuramente uno di questi. Al suo arrivo a Lecce ha pagato inizialmente il cambio di cultura calcistica, si è adattato, ha capito il nostro calcio perché è un ragazzo intelligente. Prima è stato un esempio nella serietà del lavoro mentre adesso è anche un esempio per quello che dà in campo. E noi abbiamo bisogno di gente così. Baschirotto è un altro ragazzo che il Lecce ha scelto perché pensavamo che con la sua fisicità potesse darci una mano. Lo abbiamo preso come terzino destro ma nel momento della difficoltà lui si è fatto trovare pronto e adesso si sta ritagliando un ruolo importante. Lo sta facendo anche attraverso il lavoro quotidiano: Federico arriva prima, va sul campo a lavorare, dà sempre tutto, è sempre pronto a richiamare gli altri, a dare forza e spirito».
Nell’Italia campione d’Europa, a detta di Mancini, Sirigu è stato tra i segreti dello spogliatoio, è stato il collante del gruppo. Nel Lecce c’è un elemento con queste caratteristiche?
«Ci sono tanti ragazzi con queste qualità. Il capitano è Hjulmand ma nel mio Lecce ci sono tanti altri piccoli capitani. Penso ad esempio a Marco Bleve o allo stesso Brancolini . Posso assicurare che la squadra si alimenta di questi atteggiamenti».
Il Lecce schiera la squadra più giovane della serie A ma qual è il segreto per far rendere al massimo questi ragazzi?
«Diciamo intanto che c’è stato un atto di coraggio da parte di tutti perché abbiamo scelto una strategia che non era quella delle spese folli bensì quella delle idee. Per metterla in pratica bisogna per forza lavorare con i giovani e loro hanno bisogno di fiducia. Sicuramente ne hanno bisogno tutti ma i giovani in maniera particolare perché ti possono dare a volte incoscienza, a volte anche la spensieratezza e nello stesso tempo hanno bisogno di essere supportati. Questo l’ho sempre considerato un retaggio mentale del nostro campionato italiano. Basta andare a vedere la classifica marcatori degli ultimi campionati per accorgersi che i più prolifici hanno un’età importante. Se poi ti guardi un po’ attorno ti accorgi che in altri campionati, come la Premier League o la Bundesliga, in campo ci vanno anche ragazzi nati nel 2002, nel 2003, nel 2004 e ti chiedi se sono più bravi o forse se c’è più fiducia nel metterli in campo, se c’è più coraggio o forse c’è la capacità di saperli aspettare. Questi traguardi si raggiungono quando si lavora tutti insieme e in questo senso mi riferisco pure alla stampa che, a parer mio, nella critica deve aiutare un po’ questi giovani. Io ai miei ragazzi ho chiesto intanto di emozionare la gente che viene a vederci, perchè quella è una cosa che si vede. Una tifoseria ha bisogno di vedere una squadra che dà tutto, che esce dal campo sfinita: è la bellezza del calcio. In questo senso, il giovane ti può dare molto perché ha più energie, ha più voglia, perché magari non è un calcolatore e di conseguenza non si risparmia mentre magari il calciatore più esperto è un pochino più attento. Ai mie calciatori ho detto che in Champions League giocano tanti ragazzi giovani, anche nati nel 2004, e che per me la carta d’identità non vale e di conseguenza chi va forte gioca. Ho detto che non mi interessa quanti anni ha, tantomeno quante partite ha giocato in carriera. Devo dire che abbiamo avuto delle risposte importanti, questi ragazzi si sono messi a completa disposizione dello staff. Ho avuto esperienze nel settore giovanile e so bene che un giovane è come un foglio bianco, puoi scriverci quello che vuoi. Adesso abbiamo preso Cassandro, è giovane e magari ci sarà da lavorare però sono convinto che nel giro di un mese ci darà delle soddisfazioni. E lo stesso vale per Maleh, anche se lui viene da un club importante».
In passato il Via del Mare si riempiva solo in occasione delle sfide contro Juventus, Milan e Inter mentre adesso c’è sempre il sold out: è un’altra vittoria sua e dei suoi ragazzi?
«Direi che è la vittoria di tutti, della società, dell’area tecnica, dei calciatori e di tutto l’ambiente perché significa che i nostri tifosi apprezzano quello che stiamo facendo. È gratificante essere fermati per strada, anche da parte di bambini, per un selfie o una semplice stretta di mano. Lo dico ai ragazzi, è qualcosa di bello e che dobbiamo continuare ad alimentare tutti insieme».
Il girone di ritorno è appena terminato: quale partita le è piaciuta di più e quale invece vorrebbe rigiocare?
«L’ultima. Sì, vorrei rigiocare la partita con il Verona. La squadra era in fiducia e avevamo fatto un primo tempo apprezzabile. Il Verona non era mai stato messo così in difficoltà prima di sabato scorso. I ragazzi hanno fatto molto bene sotto tutti gli aspetti, purtroppo è mancata quell’attenzione totale, quella capacità di leggere il pericolo. Ora lo sanno e sanno pure che non si deve più ripetere perché in questo campionato basta un errore per vanificare una settimana di lavoro. La partita che mi è piaciuta di più? Il primo tempo giocato contro il Milan. I rossoneri sono venuti nel Salento con lo stesso rispetto che la Juventus ha avuto nei nostri confronti. Pioli li aveva portati pure in ritiro. Queste squadre difficilmente sbagliano due partite di fila, venivano da una sconfitta in Coppa Italia con il Torino e tutti avevano il desiderio di fare una partita importante. Solo che il Lecce ha giocato ad un ritmo che avrebbe messo in difficoltà qualunque squadra ed è quello che dobbiamo fare sempre perché ci alleniamo per questo. Anche nel secondo tempo siamo rimasti in partita e non abbiamo mai mollato».
Cosa significa allenare un campione del mondo come Umtiti?
«Samuel è arrivato in estate e inizialmente ha avuto delle difficoltà. E infatti è stato fuori. Quando non giocava il ragazzo è stato un esempio per tutti e quando ha sbagliato ha riconosciuto anche gli errori: questo è stato importante perché comunque io gli ho fatto capire stavo costruendo un percorso per metterlo nelle condizioni migliori perché, è chiaro, tutti aspettavano Umtiti. Me lo chiedeva la gente per strada, anche chi non tifa per il Lecce. Ma quando si viene da un infortunio e da quattro anni in cui non hai giocato con continuità bisogna lavorare e saper aspettare. L’arrivo di Samuel è stato un investimento reciproco, l’obiettivo era di riportarlo ai suoi livelli. E devo dire che lui si è sempre posto bene con tutti».
Mentre il Napoli vola verso la vittoria dello scudetto, in Italia si discute sul caso delle plusvalenze e sulle morti di calciatori ancora molto giovani come Vialli e Mihajlovic.
«Quanto allo scudetto è chiaro che solo il Napoli può perderlo. La squadra di Spalletti sta facendo un campionato pazzesco e merita di vincere il tricolore. Per ciò che riguarda la faccenda delle plusvalenze per me il calcio deve avere delle regole e di conseguenza vanno rispettate. Non voglio andare oltre anche perché non ho le competenze per poterlo fare però credo che da questo punto di vista il Lecce stia lanciando un messaggio a tutti: si può far calcio anche con il lavoro e con le idee. Sulle morti dei calciatori invece sono particolarmente addolorato perché con Gianluca Vialli siamo stati compagni di squadra, era un uomo straordinario. Lo stesso vale anche per Sinisa Mihajlovic. Però è un tema delicato e sappiamo tutti che purtroppo in tante famiglie ci sono stati lutti per quei tipi di malattia. Io parlo del mio percorso e posso dire di non aver mai fatto uso di farmaci particolari, quindi non sono la persona adatta per parlare di questo tema. Forse bisognerebbe approfondire attraverso delle ricerche scientifiche».
Ritorniamo al Lecce: com’è lavorare con Corvino e Trinchera?
«Quando Corvino mi ha chiamato avevo il fuoco dentro e ho trovato un’altra persona con il mio stesso stato d’animo. Tiene tanto al Salento, al Lecce e lavorare con lui è sempre stimolante. A volte ci vediamo alle 8 del mattino per un caffè o in sede per una riunione, lui è sempre sul pezzo. Ed è una persona leale. Anche con Stefano Trinchera lavoriamo di comune accordo dalla mattina alla sera per cercare di migliorare quotidianamente».
Il Lecce ha chiuso il girone di andata con 20 punti e con un vantaggio di 8 lunghezze sulla terz’ultima. Facendo uno sforzo può indicare la quota salvezza?
«Non mi piace fare calcoli però è chiaro che 16 punti metterebbero al riparo, almeno credo. Però guardare la classifica e fare calcoli non serve perché intanto il guardare ti appaga e poi ci sono esempi del passato che invitano a restare sempre con i piedi per terra. Bisogna lavorare e fare punti, i conti li faremo alla fine. Ora testa alla Salernitana perché è una partita complicata».
In caso di salvezza le piacerebbe ricominciare con questo gruppo o è consapevole che qualche gioiello potrebbe essere ceduto?
«Siamo andati oltre... però posso dire che la strategia del Lecce è segnata. Ci sono passato anch’io da calciatore di questo club. Se c’è un ragazzo che fa bene, che è giovane e che ha richieste è giusto che vada anche perché non si possono tarpare le ali a ragazzi che sono bravi e che meritano. All’interno di questo progetto c’è anche la possibilità di crescita per tutti e quindi questa è la cosa più importante. In questo momento il Lecce deve mantenere la categoria perché è di fondamentale importanza. Questo poi ti dà la possibilità di consolidarti e piano piano riuscire a sviluppare ulteriormente il progetto».

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