Morto Bruno Bolchi, ex allenatore di Bari e Lecce. Il suo un calcio essenziale e vincente

Morto Bruno Bolchi, ex allenatore di Bari e Lecce. Il suo un calcio essenziale e vincente
di Liberato CASOLE
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Mercoledì 28 Settembre 2022, 09:23 - Ultimo aggiornamento: 18 Febbraio, 00:47

Ci lascia “Maciste”, Bruno Bolchi. Quello della prima figurina a colori della Panini, difensore vecchio stampo, capitano dell'Inter poco più che ventenne, che al calcio abbinava la passione per la pittura. L'ex allenatore di Bari e Lecce si è spento a 82 anni e in Puglia ha lasciato ricordi indelebili tra gli anni ottanta e novanta.

Muore un protagonista del calcio che fu. A Lecce Franco Jurlano gli affidò la panchina nell'estate del 1992 per un campionato di assestamento in serie B dopo un torneo in cui, con Bigon allontanato e richiamato, la squadra si salvò al fotofinish togliendo la storica A al Cosenza di Reja con dodicimila silani al “Via del Mare”. Un esodo mai visto prima. Jurlano non chiese la luna a “Maciste”, ma un campionato tranquillo, scottato forse dal pericolo C scampato dopo l'epopea mazzoniana e un nono posto in A con vista sull'Europa. Fu formata una squadra di ragazzini provenienti dalla Roma: Grossi, Maini e Scarchilli su tutti. C'era Orlandini che correva sulla fascia, c'era Morello del gol-promozione a Bologna. E ancora veterani come Biondo, OliveCeramicola, Baldieri, Notaristefano, Benedetti, il portiere Gatta. C'era Melchiori. "Cerami-gol-A" segnò a Terni e la squadra cominciò a credere davvero nell'impresa. C'era Rizzo-gol, alias Antonio Rizzolo, che entrava e segnava dalla panchina. “M'innamoro solo se vedo segnare Rizzolo”, così la domenica (sì, la domenica), per aspettare anche una sua marcatura, non c'era posto per il dolce a chiudere il pranzo. I gradoni dello stadio si riempivano già alle due, meglio uscire prima da casa, le polpette erano sufficienti. Quel Lecce finì in A al termine di una cavalcata caratterizzata da 19 risultati utili di fila, serie iniziata e chiusa con l'Andria dei leccesi Quaranta e Petrachi. Uno 0-1 sotto la pioggia al 50' che smarrì i giallorossi e lanciò verso la permanenza la miracolosa Fidelis di Insanguine e mister Rumignani.

Ma la A arrivò e fu un trionfo inaspettato. Per il club, nel giugno del 1993, fu il terzo salto nella massima serie.

Bari Bolchi, qualche anno prima, fece ancora meglio. Doppia promozione dalla C alla A. Nel 1983-84 vinse il campionato di C1 dopo un testa a testa con il Taranto, mentre la stagione successiva, tra i cadetti, chiuse al terzo posto alle spalle di Pisa e Lecce (la prima volta in A dei salentini). Ma a Bari ricordano anche la cavalcata dei biancorossi in Coppa Italia sotto la sua guida: storica semifinale persa contro il Verona dopo aver eliminato agli ottavi la Juventus e ai quarti la Fiorentina. Il calcio di Bolchi era semplice: la tecnica prima di tutto, poi ordine, geometrie, profondità. Spesso con una punta di ruolo. Preferiva coprire la difesa con un centrocampo più di quantità. Come quando fece la storia a Torino contro i bianconeri quel pomeriggio dell'8 febbraio 1984. Lancio di Cavasin e destro vincente di Messina, pallonetto di Lopez nel recupero. In contropiede. Ma non sopportava quando gli davano del "catenacciaro". Metodi tradizionali ed efficaci, però. Di un calcio che ha reso felici.

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