Mondiale 82, Selvaggi: «Quel successo cambiò la vita di tutti noi»

Mondiale 82, Selvaggi: «Quel successo cambiò la vita di tutti noi»
di Antonio IMPERIALE
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Lunedì 11 Luglio 2022, 15:47 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 21:50

Oggi è un giorno speciale, per l'uomo di Pomarico, innamorato della sua Basilicata e di Rocco Scotellaro. «Ne stiamo già parlando tanto in questi giorni, di questo quarantesimo anniversario», dice Franco Selvaggi. «Ci chiamano ovunque a raccontare il mondiale di Bearzot e Pertini, il mondiale di Paolo Rossi che suggellò le vittorie di un finale da favola e del quale io ero, nelle scelte del tecnico, il primo rincalzo. Ed il cuore batte forte, ogni volta. È stato il traguardo più alto della carriera. Ha cambiato la vita un po' a tutti». Franco Selvaggi, il mondiale lo ha vissuto partecipandovi con straordinaria intensità pur senza scendere in campo.


Selvaggi, quando seppe che sarebbe partito per la grande avventura, con il contorno di qualche polemica?
«Me lo fece capire proprio Bearzot, dopo una partita con la nazionale under 21. Fu un attestato di stima e so anche che fu una scelta che gli mise contro i sostenitori di Pruzzo, che da capocannoniere del campionato lo avrebbero preferito a Paolo Rossi. Ma le polemiche, che certo non aiutarono il cammino di quella Nazionale, non mi appartengono. Anche perché la forza di quella squadra fu proprio il sentirsi uno vicino all'altro, squadra nel senso più vero della parola».
C'era un leader autentico?
«C'era una grande disponibilità reciproca, nessuno si sentiva mai solo, Bearzot era vicino a tutti, pronto a difendere se stesso e la squadra dagli attacchi che si fecero pesanti soprattutto dopo le difficoltà della fase iniziale, e la qualificazione per differenza reti.

La mia camera era accanto a quella di Tardelli, che lasciò il segno con quella sua corsa, le mani al cielo, con l'urlo trascinante. Quasi l'immagine di quella vittoria. Zoff lo guardavi e lo sentivi leader».


L'inizio però fu complicato, e Rossi sembrava in difficoltà.
«Nel mondiale, si sa, qualsiasi partita è dura. Si fece fatica ad accettare il pari con il Camerun e quando hai gli occhi addosso di tutti, sei inevitabilmente più contratto. Il Camerun peraltro era una squadra che valeva. Rossi veniva da un periodo di fermo, ma Bearzot aveva avuto un'intuizione che aveva scandalizzato tutti. E Paolo fu grandissimo nel finale vittorioso dando ragione al suo allenatore e torto a tutti. La nostra era diventata una squadra capace di combattere e soffrire che voleva vincere, diventando strepitosa nella fase finale».
Causio e Selvaggi, la Puglia e la Basilicata. Il Sud era tutto qui.
«Abbiamo condiviso alcuni eventi. Ma Causio è stato un fenomeno, un calciatore straordinario, una storia grandissima, la sua. Di mondiali ne aveva giocati altri due, ed un Europeo, e sulle scene internazionali aveva vinto tutto con la Juventus. Il suo bianconero del mondiale era quello dell'Udinese. Io mi son portato l'orgoglio di essere in quel mondiale insieme ai Baresi, Galli, Dossena, Massari».
È stato il mondiale del presidente Pertini.
«È stato il mondiale che ha cambiato faccia all'Italia, che viveva una fase estremamente critica, Il Presidente del Consiglio Spadolini lasciò la tribuna a Pertini e fu la festa del tricolore. Pertini fu il padre della patria, alimentando il valore di quella vittoria, anche in termini patriottici. Mi ricordava, facendo le opportune differenze, Bartali che vincendo il Tour de France attenuò le conseguenze dell'attacco a Togliatti».
Selvaggi, materano, con anni importanti a Taranto.
«Il Taranto di Fico, la serie B come se fosse la A, il Taranto di quella sorta di re che fu Erasmo Jacovone che ci lasciò sul più bello della vita, di Beatrice, ho sentito molto la tarantinità, mi hanno fatto sentire un idolo. Devo molto a Gigi Riva che mi volle a Cagliari, e mi chiamò Spadino, la svolta nella mia carriera, 30 gol. Poi l'Udinese, l'Udinese, il Torino, un po' di Inter. Il ragazzo di Pomarico era felice».
Quando parla di Matera le piace parlare di Scotellaro.
«Perché nessuno come lui ha rappresentato meglio il popolo lucano, la fame dei contadini, il bisogno di rialzare la testa. Matera capitale Europea della cultura ce l'ha sempre nell'animo».
 

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