Serie B, il dibattito/Lecce, basta buonismo e uscite sbagliate. La replica di Sticchi Damiani: «Il nostro è calcio, l'arroganza è di altri»

Serie B, il dibattito/Lecce, basta buonismo e uscite sbagliate. La replica di Sticchi Damiani: «Il nostro è calcio, l'arroganza è di altri»
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Giovedì 17 Marzo 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 16:28

Giovanni CAMARDA

La domanda è: che cosa vuole fare da grande il Lecce? L’interrogativo è pertinente alla luce di pensieri, parole e prestazioni che hanno caratterizzato l’ultimo periodo dei giallorossi, da tempo meno brillanti e convincenti. Non lo sono stati, brillanti e convincenti, nemmeno l’altra sera a Cosenza, contro un avversario vistosamente inferiore. Come del resto si è ampiamente dedotto dall’avvio al “Marulla”, dominato dal Lecce prima dell’eclissi totale. Va avanti così da tempo. Arriva puntualmente un momento della gara in cui i giallorossi si sfarinano, perdono forma e sostanza, lucidità e fiducia. Accade indipendentemente dal nome dell’avversario, che sia l’Alessandria o il Como, vanificando anche situazioni di vantaggio, di punteggio o di uomini (per esempio a Perugia). È come se questo gruppo, si smarrisse alla prima folata di vento contrario, non per deficit tecnici o tattici, ma per una scarsa consapevolezza di sé, dei propri mezzi, invece limpidamente al di sopra della media. Tanta qualità, tuttavia, non sembra accompagnata dalla personalità, dalla fame, dalla leadership che invece dovrebbero sostenerla sempre, favorendo l’affermazione di una superiorità oggettiva.


Ciò che appare strano - ma che in qualche modo aiuta a spiegare questi impacci - è il tentativo di silenziare, ridimensionare, quasi nascondere certi valori. Operazione condotta dall’interno, forse per cercare di alleggerire la pressione sullo spogliatoio. Ma se così fosse, sarebbe puro autolesionismo. Di certo hanno lasciato sbigottiti le espressioni usate alla vigilia dal presidente Sticchi Damiani che parevano estrapolate da una puntata di “Lol, chi ride è fuori” (perché si fa fatica a prenderle sul serio). Ma come? La squadra che annovera Coda, Strefezza, Gabriel, Lucioni, Hjulmand, Dermaku, Di Mariano, Majer, Rodriguez, è una sorpresa? Per dire: Coda è un giocatore “illegale” per la B, dovrebbero impedirgli di partecipare per quanto è forte, persino in A ci sono pochissimi attaccanti italiani del suo livello tecnico (rigori a parte). E Hjulmand è il miglior centrocampista del campionato, se non il talento in assoluto più luminescente. Quali sarebbero, poi, le squadre con un organico superiore? Il Monza, per caso, schiantato all’andata e al ritorno? Certo, altri hanno speso di più, ma non è un fattore decisivo come ha imparato a proprie spese il signor Al-Khelaifi, proprietario del Psg.


Ecco perché è parsa altrettanto incomprensibile l’aggettivazione usata per inquadrare le operazioni di mercato, giudicate dal presidente “rischiosissime” e “spericolate”. Una valutazione che contraddice l’eccellente lavoro in prospettiva fatto dalla società in questi anni (di cui va dato merito allo stesso Sticchi Damiani e ai suoi compagni di viaggio) e cancella la storia quarantennale di Corvino (affiancato da Trinchera) dal quale si pensava arrivassero scelte sapienti, oculate, intelligenti, lungimiranti - anche con gli inevitabili inciampi - e che invece il presidente riduce ad autentici terni al lotto. Lui lo sa, ovviamente, che non è così, altrimenti non avrebbe voluto Corvino al Lecce quando invece si sarebbe potuto accontentare di un profilo alla Tesoro (figlio) e vivacchiare nella mediocrità, se non peggio. E allora è evidente che c’è dell’altro, forse la paura di non riuscire a centrare l’obiettivo, come l’anno scorso, quando il Lecce finì per consegnarsi placidamente al fallimento proprio per quel deficit di carattere, di personalità, di autostima che adesso sembra tornare a galla nelle prestazioni, nei pensieri e nelle parole. Ma, dovesse malauguratamente ripetersi lo stesso epilogo, a Sticchi Damiani non basterà come giustificazione ricordare di aver spiegato che il Lecce era comunque una sorpresa. Un messaggio potenzialmente destabilizzante per un organico che potrebbe sentirsi deresponsabilizzato dalla posizione del presidente.


Un’uscita sbagliata, quindi, come quella di Bleve a Perugia e Plizzari col Brescia. Per fortuna, nulla è compromesso. Il Lecce ha tutto per centrare la A diretta a condizione però che ci creda veramente, con la testa e con il cuore, senza tremori, dal presidente in giù. Perché questo manca oggi, come un anno fa: sentirsi all’altezza, essere disposti a sfidare tutto e tutti, dimostrando di non temere il Monza, il Brescia, la Cremonese, il Pisa, il Benevento. Andando in campo con la rabbia, l’ambizione e persino l’arroganza di chi non ha paura di niente ed è pronto a tutto per conquistare un risultato. È questo che ci si aspetta di vedere dal Lecce da qui alla fine. Basta scuse, basta coccole. E basta buonismo.

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Saverio STICCHI DAMIANI

Giovanni Camarda dedica un intero editoriale alla nostra società intitolato “Basta buonismo e uscite sbagliate”, nel quale sostiene, tra i vari concetti, che il Lecce dovrebbe essere “più arrogante”. Raramente mi è capitato di leggere un’analisi della quale non riesco a condividere, purtroppo, nemmeno un punto. Ho deciso di rispondere perché non sopporto le alterazioni della realtà, seppur abilmente travestite da suggerimenti, consigli, pacche sulla spalla.


Provo a spiegarmi. Nella serie B più difficile di sempre, quella dei magnati americani e delle grandi proprietà del nord, il Lecce, a 8 giornate dalla fine, è ad un punto dal primo posto, ha perso solo tre volte come il Manchester City, il Paris Saint Germain ed il Bayern Monaco nei rispettivi campionati. Non credo che in Inghilterra o in Francia o in Germania qualcuno si interroghi su “cosa vogliano fare da grandi” queste squadre. Vogliono vincere, come vuole vincere il Lecce. Leggo poi di un Lecce che “si smarrisce alla prima folata di vento contrario”, eppure, dopo la sosta forzata, durata fino a metà gennaio, il Lecce ha disputato 13 partite in un mese e mezzo, vincendone 6, pareggiandone 6, perdendone 1, totalizzando insieme alla Cremonese più punti di tutti, ben 24. Nel girone di ritorno il Lecce ha già affrontato 7 delle 9 squadre che insieme a noi occupano i primi 10 posti in classifica, con i risultati che ben conosciamo.


Nel corso di questo periodo, il Lecce ha dovuto fare a meno, per infortuni di vario genere, di Gabriel, Bleve, Dermaku, Tuia, Faragò, Rodriguez, Di Mariano, Asencio. Nonostante tutto siamo sempre lì, ad un punto dal primo posto. Un trend “non senza impacci”, secondo il commentatore, dovuti al “tentativo di silenziare, ridimensionare, quasi nascondere, certi valori” della rosa.
Ed ecco la critica alle mie dichiarazioni.

Sarei responsabile di aver definito il Lecce come la “sorpresa del campionato”. Una affermazione, si legge nel commento, che si fa fatica a prendere sul serio, per una squadra che annovera Coda, Strefezza, Gabriel, Lucioni, Hjulmand, Dermaku, Di Mariano, Mayer, Rodriguez. Con questi 9 calciatori in rosa non si può non vincere il campionato ed ogni altro esito sarebbe fallimentare. Da presidente e socio dovrei essere contento di un’analisi del genere: la proprietà ha fatto il massimo, garantendo ben 9 giocatori forti e sicuramente anche costosi, per cui, ogni eventuale esito infausto, sarebbe da addebitare ad allenatore, staff e calciatori. Invece non è così. Io non sono contento se qualcuno prova a ridimensionare i grandi meriti del mio allenatore, del suo staff, dei miei straordinari ragazzi. Di Corvino e Trinchera parlerò dopo. I campionati non si vincono con 9 giocatori forti, ma con 24 giocatori di pari livello, tutti competitivi. Ed in questa assurda serie B, sono diverse le società che possono contare in rosa 24 giocatori, tutti forti ed affermati. Per fare degli esempi recenti, il Monza, nella partita contro di noi, fece subentrare dalla panchina Mota Carvaho, Colpani, Ciurria, Gytkiaer, il Brescia invece Aye, Palacio, Proia... Anche il Lecce ha oggi una rosa di 24 giocatori, composta, però, oltre che dai 9 già citati, da tanti giovani scommesse, oppure da giocatori che vengono da annate non proprio positive, o da lunghi infortuni. È questo quello che rende il Lecce una sorpresa, aver costruito un grande gruppo scommettendo, rischiando, a volte, anche in modo “spericolato”, lo ribadisco.

Non riconoscerlo, significa non rendere merito al lavoro di tutte le persone che non dormono la notte per rendere grande il Lecce. La nostra ricetta, in confronto ai milioni di euro spesi dagli altri, sono le idee ed il lavoro. Bisogna prendere contezza che, nonostante gli enormi sacrifici di tutti noi soci, non sarà mai possibile competere con le cifre spese da altri club. Quando io giudico come “rischiosissime e spericolate” alcune operazioni di mercato di Corvino “non cancello la sua storia quarantennale” (che assurdità), ma la esalto. Aver completato la rosa con giovani islandesi, polacchi, svedesi, provenienti da squadre sperdute, o giocatori che provengono da lunga inattività come Faragò, Asencio, Barreca, Calabresi, Ragusa, è un grande merito per Corvino e Trinchera che rischiano con il loro nome e la loro fama solo per il bene del Lecce che, altrimenti, non potrebbe permettersi di avere praticamente due squadre. Immagino che a Pantaleo piacerebbe rischiare di meno, con investimenti più sicuri, invece è li a mangiarsi la testa per consentire al club di crescere con scelte difficili ed oculate. Il Lecce è un vero laboratorio. Nell’epoca del covid, noi stiamo facendo calcio. Gli altri spendono decine di milioni di euro e poi chiedono aiuti allo Stato. Inviterei Camarda a venire a trovarci nel nostro centro ad Acaya, oppure a vedere il convitto dove vivono i nostri giovani. Sarebbe bello se venisse a vedere qualche partita dal vivo, in casa o in trasferta, per capire che non mento. A Lecce si fa calcio. 
Veniamo, adesso, alla mia ultima conferenza stampa che, addirittura, ha lasciato Camarda “sbigottito”. In pratica, secondo la sua interpretazione, il Lecce non vola perché il presidente gli tarpa le ali, invitando la squadra all’umiltà ed alla concentrazione, piuttosto che “all’arroganza”. La sua principale preoccupazione, pare sia quella di assicurarsi che, nel caso di mancato raggiungimento della serie A, possa parlarsi senza equivoci di “fallimento” e che il presidente ed i suoi soci non possano difendersi dicendo di aver comunque costruito e rischiato tanto. Il messaggio è chiaro: se non sali, cito testualmente “non ti basterà ricordare che il Lecce è comunque una sorpresa”. Una sorta di invito pubblico a “farci a pezzi” qualora le cose non dovessero andare come auspicato.


Non ho paura di questo. Sia perché penso che i tifosi che Camarda tenta di stuzzicare siano più intelligenti ed equilibrati di quanto lui possa immaginare. Sia perché abbiamo conosciuto situazioni peggiori quando, con i miei soci, ci siamo liberati dall’incubo della serie C, categoria in cui molti gloriosi club sono ancora impantanati e poi vinto il successivo campionato di B contro tutto e tutti. In quegli anni eravamo leoni, ed ora siamo diventati improvvisamente senza personalità? Non credo.
Ci siamo guadagnati, in questo lungo periodo, il rispetto della gente, delle istituzioni calcistiche, degli arbitri, abbiamo raccontato in maniera onesta ai nostri tifosi ciò che possiamo fare e ciò che non possiamo fare. Questo vuol dire essere sinceri e non remissivi.
Nella conferenza che ha tanto sconvolto Camarda, ho solo detto che anche quest’anno si è costruito tanto, indipendentemente da come finirà e che non siamo i più forti, ma i più sorprendenti. Per continuare a sorprendere, però, dobbiamo essere affamati, ma sempre restando umili. L’opposto dell’arroganza.
A Cosenza, dopo un grande inizio, ci siamo sentiti superiori e ci siamo seduti. E siamo stati condannati proprio da quell’arroganza che Camarda indica come medicina, mentre per me è il male da evitare. Ecco perché, riadattando il titolo del commento di Camarda, girerei a lui questo invito: “Basta arroganza ed uscite sbagliate”.
 

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Scrivo da sempre quello che penso, non fingo, non altero, non mistifico. Si può, ovviamente, non essere d’accordo ma nessuno può mettere in discussione la mia onestà intellettuale. L’arroganza non è presunzione. Secondo me per essere vincenti bisogna essere anche un po’ arroganti, avere sicurezza nei propri mezzi, sfacciataggine. I giocatori: ne ho citati 9 come esempio, avrei potuto aggiungerne altri, ma non stavo scrivendo un elenco del telefono. Nessuno ha detto che il Lecce ha il dovere di vincere il campionato, ma solo che deve essere convinto di avere tutto per farlo. Non mi serve venire ad Acaya, al convitto, a vedere una partita dal vivo: ho mai messo in dubbio l’operato di questa società? Anzi, ne ho ripetutamente sottolineato i meriti. Non stuzzico i tifosi, li conosco meglio di Sticchi Damiani, anche se non sono il mio chiodo fisso. Non li ho mai blanditi, tutt’altro, mi ci sono spesso scontrato. Nessuno lo farà a pezzi, si tranquillizzi: ha fatto, sta facendo e farà bene, ne sono convinto. Se posso, do il mio apporto, seguo il Lecce da 31 anni, nel mio giornale questo conta qualcosa. Tengo a quella maglia più di quanto lui possa lontanamente immaginare e quando scrivo del Lecce penso di poter fornire un contributo, di crescita, di analisi, di riflessione. Molti me lo riconoscono, lui non più. Me ne farò una ragione. 

g.cam.

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