Una parola buona al Lecce non si nega mai. È da un mese e mezzo che la squadra allenata da Corini è pressoché scomparsa, eppure i toni sono sempre edulcorati, cauti, ovattati. La sconfitta di Venezia? Sì, ma si può ancora recuperare. La promozione diretta gettata nella spazzatura? Sì, però c’è la possibilità di salire con i play off. Il tonfo in casa con il Cittadella? Sì, ma a Monza si può rimettere tutto a posto. L’obiettivo terzo posto fallito contro un Empoli già sazio? Sì, però non è detto che sia decisivo.
C’è sempre un “sì, però” nella striscia da incubo del Lecce, anche adesso che l’inutilità (se non la dannosità) di tanta indulgenza dovrebbe essere palese a tutti. Anche perché, al di là delle pessime prove dell’ultimo periodo, il vero limite dei giallorossi pare risiedere proprio nell’atteggiamento mentale di una squadra floscia, impaurita, incerta. Sembra che abbiano persino timore di danneggiare il manto erboso, a giudicare dall’impalpabile incedere sul campo contro avversari che, obiettivamente, sono di un livello inferiore, Venezia compreso.
Forse è già tardi o forse no, tuttavia sarebbe questo il momento giusto - l’ultimo - per provare a scuoterli un po’, questi ragazzi perbene del Lecce, questi professionisti inappuntabili che però si sono smarriti da un pezzo, vanificando un patrimonio tecnico enorme insieme con un consistente vantaggio. Cinque sconfitte nelle ultime sette dicono inequivocabilmente che ci sono problemi grandi e grossi, a prescindere dalla variabile delle defezioni con la quale devono fare i conti anche gli altri.
La prima considerazione che verrebbe da fare è che il Lecce nei momenti di difficoltà fa fatica a reagire. Un dato per certi versi curioso se si valuta il bagaglio di esperienza e di personalità di un gruppo che può contare su non pochi profili da leader. C’è gente - come Lucioni, Mancosu, Maggio - che certo ne ha viste e vissute tante, eppure sembrano anche loro come intontiti, incapaci di trascinare il gruppo a sfoderare una qualsiasi reazione, anche con un gesto, un urlo, un’occhiataccia. Invece niente, si va sotto e tutto prosegue come se nulla fosse, come se la prospettiva di perdere non dovesse al contrario scatenare un moto di rabbia feroce. C’è un’apatia nel Lecce che a volte disturba e sconcerta. Ed è evidente a tutti che, a questo punto, parlare di moduli, scelte di formazione e schemi suona un po’ stonato: i limiti sono chiaramente altri.
Resta così l’interrogativo di fondo: che cosa è successo?, cosa è cambiato in un Lecce che l’altra sera al Penzo non è riuscito a far valere nemmeno la maggiore freschezza rispetto ad un avversario passato ai quarti dopo un gara finita ai supplementari? E dove è finita la formazione che a lungo ha impressionato per il suo calcio brillante e incisivo?
Inevitabile diventa così valutare il ruolo e l’influenza di Corini sulla squadra, non tanto sotto il profilo prettamente tecnico ma nel suo complesso, nell’approccio anche psicologico che ha con i giocatori, in quello che riesce o non riesce a trasmettere sul piano motivazionale.