Lazio-Lecce, il doppio ex Delio Rossi: io sono sempre dalla parte del più debole

Delio Rossi
Delio Rossi
di di Antonio IMPERIALE
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Mercoledì 6 Novembre 2019, 10:53
Prima il Lecce, due stagioni. Poi la Lazio, quattro campionati, passando da Bergamo, un solo anno alla guida dell’Atalanta. Lazio-Lecce è quasi un derby dell’animo per Delio Rossi. Abita a Roma, Rossi, vicino al Centro Sportivo laziale. Ma all’Olimpico domenica non ci sarà. Il suo derby che vivrà sullo sfondo dei ricordi e delle emozioni vissute nel primo decennio del secolo nuovo, lo vedrà in televisione.
«Allo stadio Olimpico non ci vado più - svela -. I tifosi romanisti mi identificano come allenatore della Lazio. E domenica poi non vivrei la partita serenamente. Io tifo per le squadre che ho allenato ma da sempre, per un fatto culturale, sto dalla parte del più debole. Sulla carta non ci dovrebbe essere partita, il divario dei valori in campo è pari ai costi delle due formazioni. Ma il bello del calcio è proprio in ciò che può comunque accadere. La partita appartiene alla serie del “Davide contro Golia”. Ma il Lecce la parte di Golia l’ha già interpretata con successo contro Milan e Juventus».
È una Lazio diversa, quella odierna, dalla squadra nella quale era approdato sulla scia dei successi ottenuti con il Lecce negli anni di grazia compresi fra il 2002 ed il 2004. «Lotito si era appena affacciato sulla scena del calcio nazionale. Veniva da un altro mondo, lontano da quello del pallone. Quella Lazio era sull’orlo del fallimento. Con me puntava su un allenatore che non aveva ancora un pedigree. Cogliemmo risultati importanti con giocatori giovani, dovevamo colmare in un certo modo le lacune con le quali ci si misurava». La qualificazione alla Coppa Uefa vanificata da Calciopoli, un terzo posto e l’approdo ai preliminari di Champions. Sull’asse Lazio-Lecce di quegli anni, una serie di intrecci. Liverani e Delio Rossi si ritrovarono insieme nel 2005-2006. «Giocatore e uomo straordinario, gran capitano - racconta il romagnolo -. Andò via, destinazione Fiorentina, e lo rivolli poi a Palermo, dove il capitano era Miccoli e Fabio autentico leader dello spogliatoio». Liverani aveva giocato mezz’ora di quella partita vinta dalla Lazio per 1-0 e Lecce in dieci per l’espulsione di Babù, e per la quale furono comminate tre giornate di squalifica a Rossi. «Era il tempo della trattativa con il Lecce per Ledesma. Si fece solo una maledetta spazzatura. L’anno dopo vincemmo la Coppa Italia». La Lazio di oggi? «Sono altri tempi, è un altro calcio, che mi fa rimpiangere la dimensione umana di quegli anni del calcio dei Moratti, dei Rizzoli, dei Cragnotti, dei Viola, dei Sensi, dei grandi presidenti italiani. Oggi conta la dimensione dei fatturati. Lotito oggi è uno che può permettersi di rifiutare cento milioni per un giocatore. È una grande Lazio. Da terzo, quarto posto. Se dà sempre il massimo».
Il suo Lecce, con il quale ha conquistato una delle tre promozioni in A, dopo quella di Salerno, e prima di quella di Bologna con Corvino quattro anni fa, era «il Lecce di Semeraro e dei giovani talenti come Bojnov, Vucinic, Ledesma, Konan e di Giacomazzi e Chevanton. Questo è un Lecce nel quale Lapadula, un giocatore nel quale ho sempre creduto, ha qualità e generosità, elementi che fanno la differenza sulla via della salvezza. È un Lecce che può farcela, deve restare attaccato al carro davanti. Contro la Lazio ci vuole tanta attenzione. Guai a distrarsi».
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