Delio Rossi: in serie A da scongiurare i verdetti a tavolino. Il campionato può essere concluso a settembre

Delio Rossi
Delio Rossi
di Antonio IMPERIALE
3 Minuti di Lettura
Venerdì 1 Maggio 2020, 11:02
Sarà comunque un’altra storia. Un lungo finale che scriverà dodici pagine diverse. Non adesso, ancora. Non oggi. «Magari a settembre, se dovesse essere necessario. Perché ciò che conta è soprattutto la vita degli uomini ed occorrono certezze superiori a quelle che vagano adesso nel labirinto dei mille dubbi». Delio Rossi allarga gli orizzonti della conclusione possibile del campionato fermato, insieme al complesso vivere quotidiano, dalla morsa impietosa del coronavirus che ha spento tutte le feste riempiendo i giorni di lutti, di immani tragedie, che rendono difficile il domani. «Io ho la fortuna di vivere qui, nella periferia romana, zona Formello, qui il virus è stato meno crudele, se così si può dire, che nella regione dove il calcio di A è presente con il venti per cento delle squadre, ben quattro su venti, realtà grandissime come Inter e Milan, la strabiliante Atalanta, il Brescia, in Lombardia».

Il calcio che incalza, il governo che frena. «Il campionato lo si deve giocare tutto, sino in fondo. Non si può lasciare una stagione strozzata, senza un finale che serva ad attribuire sul campo i diversi titoli, sia nella zona alta che ha riflessi sull’Europa, sia in basso per le retrocessioni. Ripartire con gli allenamenti il 18 maggio? Ad oggi non sappiamo ancora cosa può succedere. Se va bene si potrebbero magari riaprire gli stadi con gli spettatori, con il tifo che dà un senso ad una gara, ad una competizione. Certo, il calcio è considerato una delle maggiori industrie, gli interessi economici sono altissimi. Ma la fretta potrebbe essere cattiva consigliera. È un calcio indebitato soprattutto a livello di serie A e la situazione può precipitare se le televisioni non dovessero pagare. Però ci sono ancora casi positivi nel mondo del pallone. Se una volta ripartiti si dovesse ricominciare a fare i conti con i contagi, con le positività, in quale situazione ci si ritroverebbe?».

Predicano prudenza anche gli stessi medici delle società. «Loro hanno giurato su Ippocrate, non si smentiscono. Ma anche fra le società ci sono posizioni diverse, in rapporto magari ai diretti interessi. Spinge la Lazio, che sa di potersi giocare la straordinaria carta di un eventuale scudetto. “Quando può capitarmi un’altra occasione del genere?”, è il ragionamento che porta la società a tornare in campo. Purtroppo con questo maledetto virus l’unica soluzione sembra possa venire dal vaccino. Ma intanto cerchiamo di leggere nel domani con maggiore attendibilità».

I confini canonici delle stagioni? Il 30 giugno come capestro per le sue scadenze contrattuali? «È una situazione che non si è mai verificata, assolutamente imprevedibile. Con buon senso da tutte le parti si possono trovare le diverse deroghe per andare oltre, anche a settembre. Se si spostano ancora le Olimpiadi si potrò abbattere ogni barriera storica, proprio in virtù della eccezionalità del caso. Ci sono le norme Fifa, ci vuole una Europa che parli ad una voce sola anche nel calcio. Il campionato va concluso ed i titoli vanno solo assegnati sul campo, senza inventarsi inaccettabili soluzioni a tavolino. Non si possono cambiar le carte in tavola a giochi in corso. Vale anche per l’ipotesi delle cinque sostituzioni, che è certamente interessante. Poi bisognerà ridisegnare un calcio nuovo, più a misura d’uomo, che non può più continuare a vivere di indebitamenti. Quando parlo di calcio, io guardo a tutta la sfera, sino ai dilettanti, al calcio giovanile. Tutto va ridisegnato».

Attendere il momento per ripartire, e intanto progettare i tempi nuovi del calcio. «Sulla base dell’insegnamento di questa difficilissima esperienza. Una serie A a diciotto squadre, una serie B a due gironi. Poi semiprofessionismo e dilettanti. Novanta squadre professionistiche sono insopportabili dal sistema».
© RIPRODUZIONE RISERVATA