«Un Lecce nato per far sognare tutto il Salento»: faccia a faccia con Pantaleo Corvino

«Un Lecce nato per far sognare tutto il Salento»: faccia a faccia con Pantaleo Corvino
di Giovanni CAMARDA
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Lunedì 16 Novembre 2020, 12:02 - Ultimo aggiornamento: 14:08

Pantaleo Corvino, a che punto è il Lecce?

«Tutto considerato, non ci lamentiamo. Abbiamo affrontato le turbolenze tipiche per una squadra retrocessa, e ciononostante siamo in linea con le aspettative, grazie anche al grande lavoro di Corini. Abbiamo un gruppo profondamente rinnovato, giocatori da inserire, altri da rimotivare, per cui quei 12 punti non sono male. Certo, qualcosa ci manca: penso al rigore di Cosenza, al gol annullato a Brescia. Ma va bene, e poi i bilanci si fanno alla fine».

Che B è questa?

«Ci sono tante squadre ambizione e attrezzate: Salernitana, Chievo, Brescia, Frosinone, Spal, Monza. Vedo l’area play off affollatissima».

Saranno anche attrezzate, ma probabilmente nessuna più del Lecce...

«Abbiamo cercato di fare l’impossibile per allestire un organico all’altezza di questo territorio. La nostra gente meritava una squadra importante e noi crediamo di averla allestita. Peccato non poter avere i tifosi allo stadio, avrebbero apprezzato tanto questo Lecce. E a me sarebbe piaciuto rivedere il Via del Mare strapieno: era uno dei miei obiettivi, spero di poterlo raggiungere al più presto».

L’organico, quindi.

«C’era tanto lavoro da fare e, si sa, più si fa e più si corre il rischio di sbagliare. Però spero di aver sbagliato il meno possibile».

Come sono stati questi primi tre mesi?

«Duri, faticosi. Il mercato è solo quello che si vede, ma dietro c’è tanto altro. Con la società stiamo intervenendo anche sulle strutture: un secondo campo all’Acaya, una palestra rifatta ex novo, come lo spogliatoio della prima squadra. E poi il settore giovanile. Operazioni che hanno come comune denominatore la volontà di patrimonializzare, dare solidità e prospettiva al club».

Che società ha scoperto al suo ritorno nel Salento?

«Stupenda, è l’aggettivo che calza a pennello sulla situazione che ho trovato. Non una società fredda ma una vera e propria azienda con persone perbene, tutte. Del presidente è persino superfluo sottolineare per quanto è capace, ma sto apprezzando anche tutti gli altri, la famiglia Carofalo, Adamo, Liguori, De Picciotto. Mi sono stati sempre accanto in questi tre mesi, li ringrazio».

Come procede il vivaio?

«Il primo problema, comune a quasi tutti i club, è quello delle strutture. Lì stiamo cercando di intervenire, perché è fondamentale. Per il resto, da supervisore, sto dando delle indicazioni. Ho vinto 13 titoli giovanili, in tutte le fasce ma, soprattutto, ho portato tantissime giovani promesse a calcare i campi più importanti d’Italia e d’Europa: perché questo conta, riuscire a trasformare la potenzialità in qualità. Si dice che tutte le strade portano a Roma: io conosco la mia, di strada, ed è quella che stiamo cercando di imboccare».

Pensa che sbocceranno dei nuovi Bojinov, Ledesma, Vucinic e compagnia?

«Sicuro.

Quando sono andato via, ho lasciato un Lecce in serie A con sette titolari provenienti dal vivaio: Ledesma, Vucinic, Bojinov, Rosati, Rullo, Esposito, Pellé stesso. Quello è il mio traguardo».

All’epoca coniò una frase altamente immaginifica ed esplicativa, secondo la quale lei riusciva a friggere con l’acqua. Qual era il senso?

«Certamente non sminuire gli investimenti della società di allora, ma solo sottolineare che riuscivamo a competere con squadre che venivano da Appiano Gentile, Formello, Zingonia, Milanello, spesso battendole. E noi eravamo partiti davvero da zero, perché dopo l’éra Jurlano e prima ancora di Carmelo Russo, avevamo trovato il deserto. In quel senso, davvero noi friggevamo con l’acqua e loro con l’olio extra vergine».

Il vivaio come condizione indispensabile per darsi un futuro. Forse soprattutto in una fase come questa?

«Sì, è così. Il sistema calcio è praticamente al collasso. La pandemia ha ridotto i ricavi e aumentato i costi. Basti pensare alle spese per i charter, per gli alberghi, i tamponi ogni due giorni...Tutto questo mentre non ci sono incassi da stadio e sono diminuiti quelli da sponsor e da tv. Patrimonializzare è l’unica via, il salvagente per una società. Pur non disponendo di grandi risorse, si possono però fare delle scelte: magari rinunciare a un acquisto e investire di più nel settore giovanile».

I campionati finiranno?

«Non sono un veggente, ma spero che l’arrivo del vaccino ci aiuti».

A proposito, la fine del Lecce come sarà? I play off basterebbero o l’asticella è fissata più in alto?

«Non si può partire come abbiamo fatto noi e pensare di ottenere tutto subito. Però io lavoro per riportare il Lecce dove questo territorio merita. Il prima possibile».

A livello personale cosa la motiva?

«Uno che dalla Terza categoria è arrivato a fare la Champions non ha più traguardi personali, ma sogna solo di aiutare gli altri a raggiungerli. Oggi ho più entusiasmo di quando ho cominciato, mi sveglio prima, lavoro di più e vado a letto più tardi. Ma mi piace ancora un sacco».

Lei è un appassionato di arte e di musica. Questo Lecce cosa le suggerisce?

«Un’opera di Emilio Isgrò, il maestro della concettualità, un ragazzino ultraottantenne. E, sul piano musicale, anche pensando al mio percorso, due brani. Il passato, quello che ho realizzato, mi fa pensare a Concerto degli Alunni del Sole; quello che sto facendo a Il vecchio e il bambino, di Guccini».

Buon ascolto, allora.

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