Roma, una grande prestazione e tanta amarezza

Roma, una grande prestazione e tanta amarezza
di Alessandro Angeloni
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Mercoledì 2 Maggio 2018, 23:14
La bella figura resta, così come l’amarezza, il dolore. Tanto. Eusebio di Francesco non dormirà, come non ha dormito per preparare la mitica rimonta con il Barcellona; come non avrà dormito alla vigilia di questa semifinale malefica, come malefico - per la Roma - resta il Liverpool, solito non esorcizzabile carnefice da queste parti. Non dormirà perché stavolta non c’è dolo, non c’è l’aver preparato male una sfida (come ad Anfield), o aver fatto dei calcoli tatticamente sbagliati. Qui c’è la casualità che ha mandato in frantumi i piani e i sogni di una squadra, di un popolo. La Roma ci credeva ma l’impresa l’ha solo sfiorata, il Liverpool ha segnato due reti con due assist involontari di due dei migliori uomini della Roma, Nainggolan e Dzeko. E’ andata così, nessun dorma, nessun dormirà, non solo Di Francesco: non dormirà Radja, che dopo pochi minuti regala un contropiede velenoso (gol di Mané) al Liverpool. Addio? No, macché. Si continua a segnare, va in (auto)gol la Roma, risegnano i Reds, con un tocco di Wijnaldum su zuccata di Edin, spintonato da van Dijk. E’ finita davvero. Ma qui si apre un fronte: l’arbitro. Come a Madrid. Liverpool come Real, la finale di Kiev è tra le “favorite” dagli arbitri. Questo dell’Olimpico, il signor Skomina, nega un rigore netto alla Roma per il mani di Alexander su tiro di El Shaarawy e ne concede uno alla fine, quando ormai mancava solo un sospiro alla fine della partita, che finisce con un 4-2 strappa lacrime.  Segnano Dzeko e Nainggolan (doppietta), eroi comunque, come tutti gli altri. Eroi di una passione che ha accompagnato la squadra al suo miglior percorso in Champions League. Mai successo di vincere cinque gare casalinghe consecutive. E prima di questa maledetta semifinale, la Roma era stata l’unica squadra a non aver ancora subito 1 sola rete all’Olimpico. Numeri da grande. Tutto molto bello. Il bello del debuttante, che si chiama Eusebio. Lui e la sua banda, piena d’orgoglio, ma senza Kiev. Purtroppo per tutti.
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