Addio Boniperti, per l'Avvocato Agnelli era «il più juventino di tutti». Arrivò in bianconero nel 1946: vinse tutto da giocatore e presidente

Giampiero Boniperti con Gianni Agnelli
Giampiero Boniperti con Gianni Agnelli
di Daniele Molteni
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Venerdì 18 Giugno 2021, 08:56 - Ultimo aggiornamento: 13 Maggio, 21:30

«Boniperti è il più juventino di tutti». Basta questa frase dell'Avvocato Agnelli a rappresentare quello che è stato per la Juve Giampiero Boniperti, morto nella notte a Torino. Avrebbe compiuto 93 anni il 4 luglio. Prima grande giocatore e poi leggendario presidente, in bianconero ha vinto tutto segnando un 'epoca, quella di un calcio ancora vicino alla gente e non del tutto dominato dal business.

«Alla Juve posso fare solo un augurio: continuare a vincere perché, come sapete, rimane sempre l'unica cosa che conta...», aveva raccontato con una lettera scritta di suo pugno per i suoi novant'anni. Quella frase, «vincere non è importante, è l'unica cosa che conta» è il marchio di fabbrica della Juventus, un mantra e un monito, allo stesso tempo, per chiunque indossi la maglia bianconera. Giampiero Boniperti quella casacca l'ha portata per 444 partite. Eppure, quando era bambino si sarebbe accontentato - aveva raccontato qualche tempo fa - di portarla «una volta, per essere felice per sempre».

 

Di vittorie e soddisfazioni alla Juventus ne ha avute tantissime, sul campo, ma soprattutto dietro la scrivania: cinque scudetti da giocatore, insieme a Charles e Sivori con i quali compose un trio memorabile, tutti i trofei possibili, in Italia e nel mondo, nel suo ventennio da presidente.

Nel club bianconero era arrivato a 17 anni, nel 1946, pagato 60mila lire fifty fifty tra la squadra del suo paese, Barengo (Novara) dove era nato nel 1928, e il Momo che l'aveva tesserato. Cominciò una carriera di gol (182, primato battuto solo da Del Piero 45 anni dopo), passaggi e dribbling. Prima attaccante, poi centrocampista, si faceva dare dalla famiglia Agnelli una mucca come premio per ogni gol. E pare che scegliesse sempre quelle gravide. Cinque scudetti, quello della prima stella nel 1958, e due coppe Italia da protagonista e la chiamata nella squadra del Resto del Mondo per la sfida all'Inghilterra a Wembley nel 1953 (finì 4-4 e Boniperti segnò due gol).

Lo voleva il Torino di Ferruccio Novo e Valentino Mazzola, che Boniperti ha sempre considerato il giocatore più forte di sempre insieme al madridista Di Stefano, ma lui rifiutò. E la maglia granata l'ha indossata una sola volta nella vita, in una partita per ricordare il Grande Torino subito dopo la tragedia di Superga del 4 maggio 1949.

È stato presidente dal '71 al '90 e poi, quando fu richiamato da Gianni Agnelli dopo la disastrosa parentesi di Luca Montezemolo, amministratore delegato dal '91 al '94, quando cedette il passo per l'arrivo a Torino di Moggi e Giraudo voluti da Umberto Agnelli, che aveva sostituito il fratello maggiore nella gestione del club. Dal 2006 era presidente onorario. «La Juve - è un'altra delle sue espressioni più amate - non è soltanto la squadra del mio cuore, è il mio cuore». Da presidente, lasciava lo stadio alla fine del primo tempo, e seguiva alla radio il secondo; tra le tante sfide quelle più sofferte erano le stracittadine con il Torino, anche se ai granata ha segnato più di ogni altro bianconero: 14 gol (13 in campionato, 1 in Coppa Italia). «Il derby - aveva spiegato, da dirigente - mi consuma, amo troppo la Juve e ho così rispetto della Juve che non può essere altrimenti».

Con i giocatori aveva sempre il coltello dalla parte del manico, ma era lontano il tempo della predominanza dei procuratori. Dopo il Mondiale vinto dall'Italia nell'82 in Spagna, aveva messo fuori rosa, perché avevano chiesto un aumento, nientemeno che Paolo Rossi, Tardelli e Gentile. Una settimana di stop, un'amichevole saltata, prima di essere nuovamente ricevuti da Boniperti, e di firmare il contratto, con la concessione di un piccolo ritocco. Dei tantissimi campioni che ha portato alla Juventus e che nella Juventus sono diventati tali, da Platini a Boniek, da Brady a Zoff, due tra i più amati sono stati Scirea e Del Piero; alla Juve ha fatto venire, dal Milan, un giovane allenatore, Giovanni Trapattoni, con il quale ha condiviso dieci stagioni e tutti i successi internazionali e nazionali. Una scommessa vinta contro gli scettici: con il “Trap” alla guida, nel 1977 la Juve vinse subito lo scudetto con il record a quota 51 (su 60 punti disponibili), quando le vittorie valevano ancora due punti e la Coppa Uefa, unica squadra tutta italiana a trionfare in Europa. 

Negli anni da presidente manager (uno dei primi quando le società di calcio erano gestite dai presidenti proprietari) battagliò con i suoi colleghi al pari dei giocatori in campo. Celebre il dualismo con Dino Viola, il numero uno della Roma campione d'Italia nel 1983. L'apice nel 1980-81, con l'ormai famoso gol di Turone al Comunale di Torino annullato per un fuorigioco che non c'era. Sarebbe stato il gol del ribaltone in classifica della Roma. Invece il campionato andò alla Juve e i giallorossi finirono al secondo posto.  Dino Viola commentò l’accaduto con una frase semplice, ma chiara: «Questione di centimetri». Boniperti, che aveva studiato da geometra, allora fece recapitare un righello a Dino Viola. Il presidente della Roma lo rimandò al mittente: «Un righello è per geometri, io sono ingegnere. Serve più a lei che a me». Ricordi del calcio degli anni Ottanta, sicuramente più garbato di questo.

Da dirigente, affiancato inizialmente da Italo Allodi, costruì una super Juventus. Disciplina ferrea, ai giocatori vietava i capelli lunghi, e uno stile inappuntabile dentro e fuori dal campo. In 21 stagioni arrivarono nove scudetti, due coppe Italia e i primi trofei internazionali: Coppa dei Campioni (nella tragica notte dell'Heysel), Coppa Intercontinentale, Uefa, Supercoppa Uefa e Coppa delle Coppe.

Fuori dalla Juve all'epoca della Triade Moggi-Giraudo-Bettega, vi ritornò dopo essere stato europarlamentare dal '94 al '99, come presidente onorario del post Calciopoli. Non aveva ruoli operativi ma continuava ad essere il custode della juventinità. Una delle sue ultime apparizioni in pubblico nel settembre del 2011 all'inaugurazione del nuovo stadio della Juve, il primo di proprietà di un club in serie A. Boniperti in mezzo al campo sulla storica panchina dove gli studenti del liceo D'Azeglio di Torino fondarono la Juventus nel 1897. Lui seduto accanto a Del Piero, l'altro grande simbolo del club, portato ragazzino a Torino dal Padova proprio dal Presidentissimo. Passato, presente e futuro della Juve. 

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