Maradona morto, Bruno Conti: «Avrei lasciato Roma solo per stare con lui»

Maradona morto, Bruno Conti: «Avrei lasciato Roma solo per stare con lui»
Maradona morto, Bruno Conti: «Avrei lasciato Roma solo per stare con lui»
di Alessandro Angeloni
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Mercoledì 25 Novembre 2020, 23:02 - Ultimo aggiornamento: 26 Novembre, 14:59

Diego Maradona è morto lo stesso giorno del suo amico Fidel Castro e di un altro grande maledetto del calcio, George Best. C’è un qualcosa di magico anche nella morte, specie se il personaggio in questione, Maradona, ha scritto pagine di vita (di calcio) memorabili. L’amico romanista, Bruno Conti, non lo dimentica, oggi lo ricorda con commozione. Per i tifosi della Roma, Bruno era un po’ Maradona e un po’ Zico: MaraZico. Diego se lo porta addosso. «Da quando un giorno, alla fine di una partita della Roma contro il Napoli, mi chiese di andare a giocare con lui. E’ stato emozionante: Diego voleva al fianco me, proprio me».

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Lei ci ha anche pensato.
«Beh, era un periodo in cui avevo problemi con Dino Viola per il rinnovo del contratto. In quella partita io ero il capitano della Roma, lui del Napoli. Alla fine quel “vieni a giocare a Napoli” non lo dimentico. Poi le cose si sistemarono con il presidente e gli dissi di no. Ma nel tempo è rimasta la stima e il rispetto. Alla fine sono rimasto a Roma e sono felice».
Se n’è andato un altro amico.
«Questo anno maledetto ha portato via persone a cui ero molto legato: Diego, per il calcio, D’Orazio per la musica. La mia vita è legata alle giocate di Diego e alla musica dei Pooh. Speriamo finisca presto. Un anno, purtroppo, indimenticabile, in negativo».
Che immagine le viene in mente di Diego?
«Lui era il calcio.

La tecnica, la fantasia, il genio. Ha portato scudetti al Napoli e, con tutto il rispetto per i vari Bagni, Giordano e altri grandi di quella squadra, è stato l’artefice di quei successi. Ha fatto innamorare una città e il suo calcio ha fatto innamorare il mondo».

 


Nel mondiale in Messico 1986 siete stati avversari con le Nazionali.
«Quell’Argentina che vinse porta la sua firma. Ha fatto quasi tutto da solo. Il gol all’Inghilterra, quello al Belgio, sono delle perle. Se n’è andato un pezzo di storia del calcio».
Quando ha avuto modo di rivederlo?
«Nel 2005, quando per poco tempo ho preso in mano la prima squadra, alla vigilia di una delle ultime giornate, Salvatore Bagni lo portò a Trigoria. Mi venne a salutare, lo abbracciai di nuovo. Durante la conferenza stampa, ho detto: “Volevo presentare il nuovo acquisto della Roma”. Si aprì una porta e uscì a sorpresa Diego. Applausi». 
Ma alla fine era meglio Pelè o Maradona, questo quesito sarà mai sciolto?
«Io Diego l’ho vissuto da vicino e ho apprezzato tutte le due doti tecniche e di trascinatore. Di Pelè ho visto le immagini, era diverso: aveva il colpo di testa. Diego aveva un piede sinistro magico, irripetibile. Ha fatto la storia del calcio. Una leggenda. Ma fare paragoni non ha senso, sono due fenomeni spalmati su epoche diverse».
Diego si è lasciato andare, fisicamente.
«Sono questioni legate alla vita privata. Ogni persona ha il diritto di vivere la propria vita come vuole, con i suoi alti e bassi». 
Magari in passato ha fatto scelte sbagliate?
«Non sono nessuno per giudicare. Quando penso a lui penso al calcio, alle emozioni che ha saputo regalare. Diego è stato un combattente. Ha sempre messo la faccia davanti a tutto, senza mai tirarsi indietro».

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