Italia-Austria, Mancini e quel "risarcimento" di Wembley: «È presto, mancano ancora tre partite...»

Italia-Austria, Mancini: «Questa sofferenza ci farà bene»
Italia-Austria, Mancini: «Questa sofferenza ci farà bene»
di Romolo Buffoni
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Sabato 26 Giugno 2021, 23:55 - Ultimo aggiornamento: 27 Giugno, 09:23

In ginocchio prima del calcio d’inizio no; sulle ginocchia dopo il fischio finale sì, al termine di una partita giocata a cento all’ora. Anzi, le mani sui fianchi per la verità gli azzurri ce le avevano già dopo i primi 45’: nella ripresa hanno accusato molto più degli avversari la fatica e, forse, i dieci giorni trascorsi dal match con il Galles. Poi ci hanno pensato i cambi del ct a sbrogliare la matassa: Chiesa per Berardi e Pessina per Barella, le loro firme sul green pass per i quarti. Quindi le mani sono passate sulle spalle degli azzurri, che si sono abbracciati per il nuovo traguardo raggiunto al termine di 120 minuti di grande sofferenza. «Abbiamo faticato ma, alla fine, meritato di portarla - le parole di Mancini -. Abbiamo subito questo gol che prima o poi dovevamo subire. Nel secondo tempo siamo calati. I cambi? Federico e Pes sono stati bravissimi».

Il ct aveva chiesto alla nazionale di onorare Wembley «dove non si può giocare male». Lo stadio monumentale di Londra, quello moderno e non quello antico dove lui e il suo “gemello” Gianluca Vialli incassarono la delusione più cocente delle loro carriere di campioni: la sconfitta nella finale della Coppa dei Campioni del 1992 contro il Barcellona decisa da un missile di Ronald Koeman su punizione.

Ricordo che ha reso ancora più significativo l’abbraccio tra i due, che si sono liberati di un vecchio incubo: «Risarcimento del ‘92? È lunga ne mancano tre di partite per poterlo dire...», sorride il Mancio che ci crede sempre più di arrivare fino in fondo e che ha twittato: «L’abbiamo voluta, l’abbiamo vinta e adesso abbracciamoci tutti insieme!».

Il tecnico almeno all’inizio non si è fatto sorprendere da Foda “l’italiano”. Sapeva che l’Austria avrebbe giocato sulle ali dell’entusiasmo, sia quelle spuntate dopo la loro prima qualificazione alla seconda fase di un Europeo, sia quelle di “fabbrica” imposte dalla bevanda sponsor che governa il calcio austriaco. L’Italia nel primo tempo non è stata da meno: pressing alto e corse a perdifiato sui lati con il solito Spinazzola («sto giocando il mio miglior calcio - ha detto il romanista - nel palcoscenico più importante della mia carriera») a sinistra e, dalla parte opposta, Di Lorenzo un po’ meno convincente del solito.

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Di record in record 

A quest’ottavo di finale il ct ci era arrivato spinto dall’entusiasmo dei risultati. Girone di qualificazione vinto a punteggio pieno e senza subire gol. Undici vittorie di fila e trenta risultati utili consecutivi, come solo il mitico Vittorio Pozzo aveva saputo fare. Fatto trenta contro l’Austria per proseguire il cammino in quest’Europeo della rinascita post-Covid, bisognava fare 31. Cifra che nel mondo solo Alfio Basile con l’Argentina e Javier Clemente con la Spagna hanno saputo fare. Missione compiuta, con dodicesima vittoria di fila. Non solo: la Nazionale ha migliorato il record di minuti senza subire gol. Il precedente apparteneva a Zoff che, tra il ‘72 e il ‘74, non incassò reti per 1.143 minuti. Ieri il gol di Kalajdzic ha fissato il primato a 1.169 minuti, anche se a dividerselo sono quattro portieri e non solo Donnarumma. «Siamo stati bravi a non mollare niente - ha detto l’ormai ex portiere del Milan -. Queste partite aiutano ad affrontare meglio le prossime. CR7 o Lukaku? Fa lo stesso. Adesso ci godiamo questa vittoria».

Mosse finali

È rimasta in partita l’Italia grazie alla corazza che si è saputa costruire davanti alla sua porta, caduta sul colpo di testa di Arnautovic sulla soglia del record e salvata dal Var che ha pizzicato l’ex interista (e futuro bolognese?) in fuorigioco. Mancini al tramonto del 90° ha giocato le carte Belotti per Immobile e Chiesa per Berardi, che in acrobazia aveva sciupato il suo ultimo pallone, un cioccolatino di Spinazzola che ha tentato di divorare con troppa foga. Poi la festa.

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