Sacchetti e lo storico tricolore di Sassari:
"Lo scudetto si vince anche con la pazzia"

Sacchetti e lo storico tricolore di Sassari: "Lo scudetto si vince anche con la pazzia"
di Gianluca Cordella
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Lunedì 29 Giugno 2015, 13:48 - Ultimo aggiornamento: 13:57
Vincente in campo - fu tra gli artefici del trionfo azzurro agli Europei del 1983 - e in panchina: Romeo Sacchetti, “Meo” per tutti, ha compiuto l'impresa portando Sassari dalla LegaDue allo scudetto.



Ha metabolizzato quello che è successo venerdì scorso?

«No, onestamente ancora non l'ho capito. Queste cose si gustano a bocce ferme e dalla vittoria del titolo non ci siamo ancora fermati. Io queste cose me le gusto quando sono da solo con la famiglia e stacco dal campo».



Torniamo alla serata di Reggio: peggio il 21-4 alla fine del primo quarto o il -8 a quattro minuti e spiccioli dalla fine?

«Iniziare gara7 in quel modo non è stato affatto piacevole, c'era il rischio di una rottura prolungata da parte della squadra. Ma le storie di gara7 sono piene di partite che sembravano finite e sono state improvvisamente riprese. Anche l'episodio del tifoso che ha messo le mani in faccia a Sosa è servito a darci un po' la scossa. E poi tutta la serie contro Reggio Emilia è stata così, fatta di alti e bassi: gara7 non poteva fare eccezione».



C'è stato un momento nei playoff in cui ha pensato «ok, adesso usciamo»?

«Sicuramente nel finale di gara6 su quel tiro di Cinciarini. Quegli attimi a guardare la palla che andava verso il canestro e poi veniva respinta dal ferro sono stati interminabili. Più in generale, nei playoff, il momento più duro è stato nella serie contro Trento, quando, sotto 1-0, siamo andati a giocarci gara2 ancora sul loro parquet sapendo che con loro avevamo perso anche le due sfide di regular season. Avessimo perso anche quella difficilmente saremmo riusciti a raddrizzare la serie».



Qual è stata la qualità principale che ha portato Sassari al titolo?

«Senza dubbio il carattere che è emerso in tutti i momenti in cui sembravamo spacciati. Con una spruzzata di pazzia, che nel bene e nel male è un tratto caratteristico del nostro basket».



In cinque anni dalla LegaDue al triplete. Ogni fase di questa crescita ha avuto giocatori chiave...

«Il primo che mi viene in mente è Hubalek, uno che giocava i playoff con il fuoco addosso, così come James White che è stato determinante nel nostro primo anno in serie A. Però il giocatore che più di tutti ci ha dato un'impronta in questo processo di crescita è stato Travis Diener. Pensando invece all'ultima stagione dico Lawal, dominante in alcuni momenti della finale».



Nel roster c'è un altro giocatore importante, un certo Brian Sacchetti...

«Poter condividere la gioia di un trionfo con un figlio non è una cosa che succede molte volte. È una sensazione bella. Avevo lui in campo, mia moglie e l'altro figlio in tribuna e mia figlia che ci seguiva dalla Finlandia. Una festa per tutti».



Pioggia di complimenti, a partire da Renzi. Qual è stato il messaggio di congratulazioni che le ha fatto più piacere?

«Sicuramente quello di Roberto Brunamonti, che si è fatto sentire durante tutti i playoff».



Qualche consiglio decisivo?

«No, no, solo qualche input, uno stimolo».



A furor di popolo gara7 è finita in prima serata su RaiTre. E gli ascolti sono stati superiori a quelli di Milano-Siena del 2014 (1.330.00 spettatori di media e share del 6,40% contro 890.000 e 4,29% di un anno fa, ndr).

«È bello che due provinciali siano riuscite a fare quei numeri. Significa che Sassari e Reggio Emilia sono riuscite a far appassionare le persone, giocando un basket molto pericoloso per le coronarie dei tifosi».



Molti dei suoi giocatori sono finiti nel mirino delle big europee. C'è il rischio che il prossimo campionato possa essere una specie di anno zero?

«Ci siamo abituati, questa è la nostra storia. Ci è già successo con White, Hunter e tanti altri. Abbiamo un limite oltre il quale non possiamo andare se non con un lavoro di ricerca, pescando quei giocatori che ci permettano di portare avanti le nostre idee».



Anche perché con il Cagliari in serie B ormai siete la bandiera sportiva di un'isola intera...

«I risultati ci hanno aiutato ma gran parte del merito è del presidente Sardara che si è dato molto da fare per farci conoscere anche fuori Sassari e al di là della pallacanestro giocata. Siamo molto legati al territorio e le scene di entusiasmo che si sono viste per lo scudetto lo dimostrano».