Il volo d'oro di Sara Simeoni 40 anni fa: «Senza il titolo olimpico di Mosca 1980 sarei stata una campionesssa incompleta»

Il volo d'oro di Sara Simeoni 40 anni fa: «Senza il titolo olimpico di Mosca 1980 sarei stata una campionesssa incompleta»
di Massimo Sarti
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Domenica 26 Luglio 2020, 12:01 - Ultimo aggiornamento: 12:11
«È passato tanto tempo», esclama Sara Simeoni rispondendo alla telefonata di Leggo. È vero: 40 anni non sono pochi da quel 26 luglio 1980 quando l'azzurra, allora detentrice del record del mondo di salto in alto con 2,01 metri (ottenuto due volte nell'agosto del 1978, a Brescia e Praga), conquistò l'oro olimpico ai Giochi di Mosca, dopo aver superato anche una crisi d'ansia prima della finale. Un successo che resta indelebile nella memoria collettiva, come quelli di Maurizio Damilano nella 20 km di marcia (24 luglio) e di Pietro Mennea (28 luglio) nei 200 metri. Risultati a Cinque Cerchi che ora l'atletica italiana sognerebbe. Come da sogno è stata la carriera di Sara da Rivoli Veronese, che il 19 aprile scorso ha compiuto 67 anni: oltre all'oro di Mosca, ai Giochi Olimpici ha conquistato l'argento a Montreal 1976 e Los Angeles 1984. Nel palmares pure cinque titoli europei (uno all'aperto e quattro al coperto), due ori alle Universiadi, altrettanti ai Giochi del Mediterraneo e 24 titoli italiani tra indoor e outdoor. È stata primatista italiana dal 1970 al 2007 e primatista mondiale dal 1978 al 1982. L'Atleta del Centenario al femminile, eletta dal Coni nel 2014, ricorda quei giorni nell'attuale capitale della Russia.

Signora Simeoni, torniamo indietro proprio di 40 anni, a quell'oro ottenuto con la misura di 1,97, allora record olimpico...

«Andai a Mosca per vincere, non c'erano storie, anche se in realtà non mi sentivo in forma al 100% perché cominciavo ad accusare qualche problemino fisico. Certo, non pensavo di poter conquistare l'oro tranquillamente, ma l'obiettivo era quello. La sorpresa fu trovare, come mia avversaria principale, la polacca Urszula Kielan (argento con 1,94, ndr) e non la tedesca dell'Est Rosemarie Ackermann (oro a Montreal 1976, paladina del vecchio stile ventrale, fermatasi a 1,91, ndr). Ma al di là delle altre, volevo quella medaglia a tutti i costi».

Resta il ricordo più bello della sua carriera?

«Dal punto di vista emotivo l'argento di Los Angeles 1984 (saltando 2 metri a 31 anni dopo essere stata infortunata e perdendo solo dai 2,02 metri della tedesca dell'Ovest Ulrike Meyfarth, sua grande rivale, ndr) ha avuto un significato particolare. In altre occasioni ho ottenuto risultati e prestazioni tecniche inaspettate: anche quelle rimangono grandi emozioni. Ma senza un oro ai Giochi Olimpici avrei considerato incompleta la mia carriera».

Giochi Olimpici che lei nel 1980 rischiò di saltare a causa del boicottaggio deciso da molti Paesi, capeggiati dagli Stati Uniti, a causa dell'invasione dell'Afghanistan da parte dell'Unione Sovietica. Alla fine poté gareggiare, pur senza bandiera tricolore e inno di Mameli sul podio. Ebbe paura di non andare a Mosca?

«Io avrei fatto la valigia e sarei andata anche da sola a Mosca, perché non potevo perdere la mia grande occasione in quel momento della carriera. Ho sperato a lungo che andasse a finire bene, ma di certo non fu facile per noi atleti che volevamo preparare al meglio i Giochi Olimpici sopportare quella situazione di incertezza».

Che ricordo ha dell'Italia e degli italiani di 40 anni fa?

«Erano anni particolari, difficili, ma c'era comunque la voglia di pensare al futuro, di fare progetti. Noi atleti avevamo un rapporto più ravvicinato con i nostri coetanei, con il mondo di tutti i giorni. Nulla di paragonabile rispetto alla maggiore distanza che c'è adesso tra la gente e i campioni dello sport. Ci sono in mezzo tanti filtri. Mi ricordo a quei tempi meeting in Italia con il pubblico, gli appassionati, anche appesi agli alberi. Oppure letteralmente in pedana con noi: ci lasciavano giusto lo spazio per la rincorsa. All'inizio era un problema concentrarsi, ma quelle gare erano davvero una festa per tutti».

Quanta distanza rispetto a questo 2020. A causa del Covid-19 i Giochi di Tokyo sono stati rinviati e lo sport, se va bene, ha ripreso o sta riprendendo a porte chiuse...

«Nessuno si sarebbe aspettato questa pandemia mondiale, che ha penalizzato tutti. Parlando di sport, gli atleti di vertice sono maggiormente tutelati, l'investimento per chi punta ad andare ai Giochi Olimpici è meno un problema rispetto ai dubbi sulla ripresa dell'attività di base, che già soffriva prima. Il Covid-19 è stato un colpo basso soprattutto per lo sport sparso ovunque nel tessuto della nostra società. Sport che rappresenta il divertimento, ma anche momenti di educazione civica di cui abbiamo tanto bisogno».

Qui vengono fuori i valori sempre promossi da Sara Simeoni professoressa, che ha trascorso una vita a contatto con i giovani...

«Sono andata in pensione lo scorso settembre. Ho lavorato per tanto tempo in una scuola media di Garda, ho anche insegnato per molti anni scienze motorie all'Università di Chieti. Sono stata poi di recente impegnata in un progetto sul fair play con il Miur e il Comitato Regionale Veneto della Fidal (di cui è vicepresidentessa, ndr). In due anni credo di aver visto 20mila ragazzi, dalle elementari alle superiori. Inizialmente ho pensato: “Ma questi manco esistevano quando gareggiavo io”. Invece quanto interesse, stupore, entusiasmo. Quante richieste di portarli in palestra per insegnar loro a saltare. I ragazzi di oggi sono molto meglio di come vengono dipinti. Sta a noi adulti saper incanalare la loro voglia di fare in maniera giusta. Con il gioco, con lo sport, si può ottenere tanto. Basta non ossessionarli, lasciarli liberi di testa. Guai a dire che, se sbagliano, non sono nessuno».
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