Tullio Solenghi: «Woody Allen? Una folgorazione»

Tullio Solenghi: «Woody Allen? Una folgorazione»
di Vincenzo MAGGIORE
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Domenica 5 Febbraio 2023, 05:00

Dio è morto e neanch’io mi sento tanto bene” è il titolo dello spettacolo a metà tra narrazione e musica che l’istrionico Tullio Solenghi porterà questa sera sul palco del Nuovo Teatro Verdi di Brindisi dopo le tappe al teatro Italia di Francavilla Fontana, al Tex di San Vito dei Nomanni e a Palazzo Roma di Ostuni. Una carrellata dei più significativi e spassosi brani tratti dai primi tre libri di Woody Allen in cui la lettura è sublimata dalla musica dei Nidi Ensemble, gruppo composto dal maestro Alessandro Nidi al pianoforte, Giulia Di Cagno con voce e violino, Filippo Nidi al trombone, Massimo Ferraguti al clarinetto, Tea Pagliarini al corno e Sebastiano Nidi alle percussioni. Il montaggio musicale accompagna le letture scelte dall’artista genovese rendendole ancora più suggestive.

Tullio Solenghi, come nasce l’idea di questo spettacolo?

«Prende spunto da una suggestione personale. Da giovane mi cimentai nella lettura dei primi tre libri di Woody Allen che furono per me a dir poco illuminanti. Li trovai così esilaranti che, mentre viaggiavo in treno, mi nascondevo nelle toilette per sbellicarmi liberamente dalle risate, lontano dagli occhi indiscreti degli altri viaggiatori. In generale, i libri di Allen mi aprirono la mente non solo per quanto riguarda la comicità, ma mi colpirono per la profondità espressa. Ho sempre voluto condividere con il pubblico questa mia folgorazione. Sul palco, alterno letture tratte da Citarsi Addosso, Effetti collaterali e Saperla lunga. Il tutto è legato a brani di George Gershwin, Tommy Dorsey, Dave Brubeck. Uno speciale ricordo è per il mentore di Woody Allen, Groucho Marx, ricordato dalla musica Klezmer».

Lei ha iniziato la carriera come attore di prosa. Quando ha capito di possedere un talento comico?

«Ho avvertito quasi subito una certa predisposizione che emerse anche durante il primo provino presso il Teatro Stabile di Genova.

Mi presentai con i primi cinque versi di “A Silvia” recitati con le intonazioni di molti dialetti italiani. Fu un delirio di risate».

C’è una figura che reputa determinante all’inizio del suo percorso?

«Il curato della parrocchia di Sant’Ilario, Don Giorgio. Durante le gite in pullman mi dava il microfono per intrattenere i miei compagni. Lo considero il mio debutto».

Buona parte della sua carriera è legata al Trio con Tullio Solenghi e Anna Marchesini. Come si sviluppava il processo creativo dei vostri sketch?

«C’era una prima fase intitolata “libero cazzeggio” in cui ognuno metteva sul tavolo le proprie idee, liberamente. Faceva seguito il momento “lacrime e sangue” in cui l’approccio cambiava, eravamo molto più rigorosi. La regola era ferrea: qualsiasi testo doveva superare il settaccio del vaglio degli altri due. Ci sono valanghe di materiale che è stato scartato».

Rispetto a quando ha iniziato, com’è cambiato il teatro in Italia?

«È sicuramente meno protagonista. Oggi, è quasi indispensabile una “complicità” televisiva e cinematografica”.

Cosa le piacerebbe ancora fare?

“Manca solo il circo”.

Cosa le fa paura?

“Da nonno, mi sono scoperto più apprensivo di quanto non fossi in passato. Il benessere familiare è sacrosanto, al riguardo le trepidazioni non mancano. Professionalmente, mi spaventerebbe non avere più entusiasmo, ma per fortuna ne dispongo ancora a sufficienza».

È tempo di Sanremo. Aneddoti?

«Mi ricordo lo “scandalo” a livello di opinione pubblica a causa di una mia “Predica” che fu considerata blasfema durante una serata del Festival. La mattina dopo, fui assalito dai giornalisti. Oggi il tutto sarebbe sminuito in pochissimo tempo».

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