Ronald Reagan, il conservatore della svolta: 40 anni fa l'elezione, lo speciale a Tg2Dossier

Ronald Reagan, il conservatore della svolta: 40 anni fa l'elezione, lo speciale a Tg2Dossier
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Venerdì 23 Ottobre 2020, 10:39

Sabato 24 ottobre su Rai Due alle 23.30, e in replica domenica 25 alle 10, a Tg2 Dossier “Ronald Reagan, il conservatore della svolta”, di Miska Ruggeri.

A 40 anni dall’elezione a presidente degli Stati Uniti, il ricordo di uno dei più rimpianti inquilini della Casa Bianca, un gigante della storia americana che ha caratterizzato un’epoca. Dagli esordi come radiocronista sportivo agli anni di Hollywood (attore e sindacalista), dal lavoro come uomo-immagine della General Electric ai due mandati come governatore della California. Dai tentativi falliti di conquistare la Casa Bianca al trionfo del 1980. Gli anni della sua presidenza sono stati caratterizzati da una crescita economica record e dalla sfida con l’Unione Sovietica che portò al crollo del Muro di Berlino, alla vittoria nella Guerra Fredda ottenuta senza sparare un colpo.

Il suo primo, celeberrimo, discorso politico, The Speech per antonomasia, in appoggio al candidato repubblicano Barry Goldwater, è commentato così dall’economista ed ex ministro Antonio Martino: “Per la prima volta qualcuno enunciava i principi di governo di un conservatore in modo chiaro e convincente”.

Il candidato Reagan si mostra subito affabile e dotato di grandi doti oratorie. Il giornalista Furio Colombo, che negli anni ’60 insegnava a Berkeley e lo ha frequentato spesso, lo ricorda “estroverso, simpatico, accogliente”. Sul piano politico, afferma Colombo, “Reagan è stato l’uomo che ha fatto compiere la prima grande brusca svolta a destra agli Stati Uniti. Qui destra è destra economica, tagli, tagli alle Università, alle scuole pubbliche, tagli gravissimi alla sanità”.

Di certo non gli mancava il fegato. Come dimostra un aneddoto rievocato ancora da Martino: “La prima volta che mi sono imbattuto nel nome di Reagan è stato quando, ascoltando la radio in macchina a Chicago, ho sentito il governatore della California, che era Reagan, commentare il fatto che i nordcoreani avessero sequestrato la Pueblo, che era una nave-spia americana. Reagan disse: “Che cosa aspetta quel clown del presidente degli Stati Uniti. Se io fossi presidente degli Stati Uniti direi ai nordcoreani: “O rilasciate subito la Pueblo o tutta la Marina americana la seguirà!”. E mi resi conto che era un uomo di coraggio, dote di solito scarsa nella politica”.

La scalata al potere è lunga e frastagliata, ma dietro di lui c’è un vasto mondo che lo appoggia e gli fornisce idee, dalla New Right ai neoconservatori, dagli economisti della Mont Pelerin Society a riviste importanti quali Commentary. “Il mondo conservatore americano della New Right”, spiega Marco Respinti, Senior Fellow presso il Russell Kirk Center, “vede in Reagan un uomo capace di portare quelle istanze dentro la Casa Bianca. E Reagan capisce che lì c’è un elettorato forte, compatto, coeso, ma soprattutto organizzato. Parte attiva di questa New Right è la destra cristiana. La Moral Majority è quella che riesce a convogliare sul Partito repubblicano l’elettorato cristiano, soprattutto protestante, che negli anni precedenti aveva scelto di stare sull’Aventino e di non scendere in politica”.

Lo storico Massimo Teodori sottolinea come “Reagan riesce a galvanizzare quella parte dell’America che aveva subito negli anni precedenti una marginalizzazione, perché l’egemonia democratica dello Stato federale, dei movimenti dei diritti civili e dei movimenti contro la guerra aveva ricacciato ai margini tutto un mondo tradizionalista presente in alcune parti degli Stati Uniti, che lui invece riporta in primo piano e a cui dà molto fiato”.

Quando batte Carter, la situazione internazionale è drammatica. “Il comunismo - ricorda Giulio Tremonti, presidente dell’Aspen Institute Italia - trionfava nel mondo: in Russia, in Asia, in Africa.

In Europa stavano costruendo il cosiddetto eurocomunismo, qualcosa di un po’ diverso dalla democrazia occidentale classica. In quel momento sembrava che ci fosse la vittoria del comunismo”. Ma Reagan ribalta tutto. La stampa mainstream (specie i grandi media della costa Est) lo considera un guerrafondaio pericoloso e pasticcione, un razzista ignorante. “Quello che scrive il New York Times”, sostiene il saggista Mauro della Porta Raffo, “da noi è legge, mentre in effetti il New York Times al di là di New York non lo legge nessuno. C’è una specie di sudditanza, in Europa e non soltanto in Italia, nei confronti di questi giornalisti i quali, in realtà, non l’azzeccano mai”.

Per Vittorio Emanuele Parsi, direttore dell’ASERI (Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali), “fece capire all’esterno che gli Stati Uniti avevano finito la stagione della timidezza e del disimpegno”. Da lì un duro confronto con l’Urss, la sfida dello scudo spaziale e il collasso di quello che Ronnie aveva definito l’Im dxpero del Male.

I funerali di Stato, nel 2004, lo hanno consacrato come icona bipartisan.

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