40 anni senza Alfredino. Piero Badaloni: «Una diretta tv di 36 ore nata per caso. Ma Pertini sbagliò»

Piero Badaloni, la diretta più difficile: la tragedia di Vermicino 40 anni dopo
Piero Badaloni, la diretta più difficile: la tragedia di Vermicino 40 anni dopo
di Stefania Cigarini
6 Minuti di Lettura
Martedì 8 Giugno 2021, 07:17 - Ultimo aggiornamento: 10 Giugno, 16:27

Piero Badaloni condusse quasi per intero - 36 ore - la diretta Rai sulla tragedia di Vermicino del 10 giugno 1981

Oggi la morte di Alfredino verrà raccontata da una fiction.

«C'è sempre il rischio di una spettacolarizzazione del dolore. Staremo a vedere. Il fatto che il centro Alfredo Rampi abbia collaborato alla realizzazione della miniserie potrebbe essere un elemento di garanzia. Quel fatto di cronaca divenne evento anche in funzione della diretta tivù e con essa entrò a far parte della storia del Paese. Può essere legittimo che una emittente televisiva voglia ricostruire quella che chiama “Una storia italiana”. All'epoca si superò la misura, speriamo non accada anche in questo caso».

40 anni senza Alfredino: la mamma, il Presidente, il pompiere e lo speleologo. Storie di una tragedia che ha cambiato l'Italia

Lei come la visse?

«Dopo quarant'anni ricordo ancora ogni dettaglio e soprattutto la sensazione di angoscia. Avevo trentacinque anni e uno dei miei figli sei, come Alfredino. Dovetti combinare la mia stessa partecipazione emotiva con il distacco del cronista».

Perché la diretta?

«Fu casuale. Vermicino era un collegamento in coda alla scaletta del Tg1 delle 13,30 dell’11 giugno 1981. Il capo dei Vigili del fuoco disse al nostro inviato (sul posto si alternarono Maurizio Beretta e Pierluigi Camilli, ndr) che sarebbe mancato poco al recupero. Il direttore Emilio Fede decise di mantenere la linea. Tutto iniziò così».

Gli errori di allora

«Vi furono discrepanze tra le strategie di intervento degli speleologi e quelle del capo dei Vigili del fuoco. E l'arrivo del Presidente della Repubblica».

Pertini? Perché?

«Con tutto il rispetto e l’ammirazione per l’uomo e il Capo di Stato, forse sarebbe stato meglio che fosse rimasto a seguire da palazzo. Con il suo arrivo divenne necessità istituzionale mantenere la diretta su tutti e tre i canali Rai dalle 14 dell’11 giugno, ed Alfredino era nel pozzo da 18 ore, alle 7 del 13 giugno, quando si ebbe la netta sensazione che fosse morto.

Sarebbe stato meglio seguire quell'evento con una sola rete. La speranza scivolò via ora dopo ora, insieme quel povero bambino che da trenta metri scivolò a sessanta».

Si dice che da quella diretta nacque la “tivù del dolore”

«Provocò certamente un coinvolgimento emotivo intenso da cui scaturirono partecipazione sincera al dolore, ma anche curiosità morbosa. Fu un fatto unico, da allora cambiò il mio modo di vivere e di fare la televisione. E non solo il mio. Dal successo di quella diretta, in termini di audience, nacque una televisione che puntava proprio alla speculazione del dolore. Scelta che disapprovavo e che disapprovo tutt'ora».

Cosa la colpì, già allora, in maniera negativa?

«Ci sono cose che continuo a portarmi dentro e che dimostrano quali sono i rischi quando si è costretti, come fummo allora, a seguire una tragedia. Non avrei mandato in onda il dialogo tra Franca Rampi e suo figlio avvenuto attraverso un microfono calato nel pozzo. Lei cercava di rassicurarlo, era un momento intimo, struggente e privato. Quella è stata una spettacolarizzazione del dolore. Ricordo la signora Rampi presa per una spalla e fatta voltare bruscamente “a favore di telecamera” mentre stava chiedendo informazioni ad un vigile del fuoco in un momento cruciale delle operazioni d salvataggio, la perforazione del tunnel parallelo al pozzo».

Da quella tragedia nacque anche il sistema di Protezione civile

«Una conseguenza positiva. La sensibilizzazione delle istituzioni e lo sforzo della mamma di Alfredino che creò il Centro intitolato a suo figlio. Nell'arco di un anno nacque il coordinamento interministeriale. E quello che fino ad allora era una organizzazione disarticolata e molto sulla carta divenne il sistema di Protezione civile».

Lei ha incontrato successivamente Franca Rampi?

«No, preferisco rispettare la sua privacy. La signora Rampi non accetta interviste, ha scelto la strada della discrezione, si è espressa creando il Centro intitolato al figlio, non ha mai cercato pubblicità. E io sono tra quei giornalisti che preferiscono avere un limite e non superarlo. Per me è un dato insormontabile. Il resto lo considero sciacallaggio».

Vermicino rispetto ad altri eventi epocali tragici

«In quel periodo mi capitò di seguire varie dirette, il sequestro Moro, la strage di Ustica, il terremoto in Irpinia, l'attentato al Papa; ma Vermicino assunse una dimensione completamente diversa, incise profondamente sulla storia della televisione e del Paese. Dovrebbe ricordarci che, come giornalisti, abbiamo un codice etico e delle responsabilità».

Una tragedia di oggi, il Mottarone

«C'è sempre il tentativo di mantenere alto il livello di attenzione mediatica attraverso la curiosità di conoscere dettagli che non sono così rilevanti. E' più importante l'inchiesta, non sapere quali sono state le prime parole del bimbo, unico sopravvissuto, al suo risveglio in ospedale. C'è ancora la voglia, da parte di qualcuno, di inseguire il sensazionalismo. Penso che gli italiani siano abbastanza maturi da capire qual è il limite che non va superato, spesso sono i giornalisti a farlo».

Capita anche in politica

«Il gossip sulla politica, perché l'informazione politica è altra cosa. Fa tutto parte dello stesso disegno, la scelta di una linea editoriale che si crede sia quella che fa vendere di più o che crei più ascolto televisivo. In realtà spesso l'effetto è quello di allontanare il lettore o il telespettatore. Accade anche per i fatti di cornaca, che nei tg europei non superano la media del 4, 5 per cento; in Italia siamo sul 12 per cento».

Un suggerimento?

«Fare più attenzione alle problematiche che ci circondano, il mondo africano, la situazione in Medio Oriente. Non siamo un piccolo villaggio, facciamo parte del mondo».

In tivù cosa guarda?

«Canali tematici come Rai Storia o National Geographic, oppure qualche bel film. Non trovo per il resto molte trasmissioni originali sulle reti generaliste, si copiano le une con le altre».

Progetti e interessi

«Ho una passione per la storia e dall'ultimo periodo di inviato Rai a Madrid ho tratto una trilogia sul periodo franchista. Il libro più recente, "Quando il passato non passa", esplora i crimini della dittatura di Franco, la più longeva in Europa. In particolare lo scippo dei bimbi dei dissidenti consegnati a coppie sterili fedeli al regime. In quasi cinquant'anni furono oltre trecentomila bambini. La memoria storica è importante, va ribadita sempre contro ogni frequente tentativo di manipolazione».

Giornalista e scrittore, oltre all'impegno su TV 2000?

«Sto preparando un documentario sull'acqua, sulla realtà e le problematiche legate a questo vitale elemento (ha realizzato anche “Dolomiti. Montagne, uomini, storie, ndr). Credo ancora in una tivù che abbia una valenza formativa e continuo imperterrito così».

E ORA IL DRAMMA ARRIVA SU SKY

La tragedia di Vermicino diventa fiction - Alfredino, una storia italiana - di Lotus production/Marco Berardi, in onda su Sky il 21 e il 28 giugno 2021. Nel cast Anna Foglietta (Franca Rampi, foto); Kim Cherubini (Alfredino); Vinicio Marchioni (Nando Broglio); Massimo Dapporto (Sandro Pertini). Ed ancora, Luca Angeletti è Ferdinando Rampi, il padre,  Francesco Acquaroli è Elveno Pastorelli, comandante dei Carabinieri,  Beniamino Marcone è il pompiere Marco Faggioli, Valentina Romani è Laura Bortolani, geologa, Daniele La Leggia è Tullio Bernabei, caposquadra degli speleologi, Riccardo De Filippis è Angelo Licheri, ultimo a tentare il salvataggio.

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