Luca Bizzarri in "Tutta colpa di Freud": «La psicanalisi? Una vecchia fidanzata accogliente»

Luca Bizzarri in "Tutta colpa di Freud": «La psicanalisi? Una vecchia fidanzata accogliente»
Luca Bizzarri in "Tutta colpa di Freud": «La psicanalisi? Una vecchia fidanzata accogliente»
di Michela Greco
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Martedì 23 Febbraio 2021, 02:05 - Ultimo aggiornamento: 08:41

«Stare sui social mi diverte. A volte mi fa arrabbiare, a volte mi intriga, ma è un mondo che riserva sempre sorprese. Soprattutto in negativo!». Su Twitter Luca Bizzarri ha un milione e mezzo di follower e una "produzione" intensa, spesso polemica.

Su Amazon Prime Video da venerdì (e su Canale 5 in autunno) diventa un guru della comunicazione grazie al personaggio del titolare di una affermata agenzia web nella serie che porta sul piccolo schermo il film Tutta colpa di Freud. Nel 2014 a dirigerlo c'era Paolo Genovese (qui tra gli sceneggiatori), oggi c'è Rolando Ravello; allora il papà psicanalista era Marco Giallini, oggi è Claudio Bisio (purtroppo assente causa Covid dalla presentazione stampa, “Sono positivo, ma sto bene”, ha scritto). Anche l'ambientazione è cambiata, da Roma a Milano, ma una dose di saggezza capitolina è assicurata da Max Tortora, che con Bisio forma un inedito duo comico.

 

In Tutta colpa di Freud è un comunicatore, nella vita è molto attivo sui social. La vive come una forma di attivismo, di resistenza? Ha persino gestito per un giorno il profilo di Calenda, tempo fa.

«Lo vivo come un divertimento puro, senza uno scopo particolare.

Certo, quando tocchi certi argomenti viene fuori la rumenta (la spazzatura, NdR), come la chiamiamo a Genova. L'altro giorno ho fatto un post sui vaccini: capire come reagiscono le persone è interessante ma anche terrificante».

C'è una responsabilità quando si comunica sui social?

«Sì, tanti non la capiscono, ma tanti la sopravvalutano. Soprattutto in Italia, spesso i social sono solo una valvola di sfogo. Lo dimostra il fatto che quando le cose si fanno serie diventa premier uno che non è mai stato sui social in vita sua. Vorrà pur dire qualcosa».

Proprio sui vaccini si è creata molta confusione.

«Un po' è colpa della comunicazione e un po' del mondo accademico, che invece di usare una voce sola e autorevole si è disperso. Molti secondo me hanno cercato anche la fama personale o sono stati ammaliati da una fama inaspettata che non hanno saputo gestire».

Qualche giorno fa twittava di una tua partecipazione a Sanremo con Paolo di 10 anni fa, dove non risparmiavate nessuno. Come siete cambiati, voi e Sanremo, da allora?

«Fu uno snodo importantissimo della nostra carriera, portava con sè un carico di ansie. Ora lo affronterei con meno paura di sbagliare. Non so se una cosa simile si potrebbe fare adesso perché c'è un controllo terribile. Ci sono dirigenti Rai che ancora ci ricordano, ridendo ma nemmeno tanto, la brutta settimana che gli facemmo passare...»

Non ha mai avuto paura di esporsi sulla politica...

«Anche troppo! Mi sono pentito di averlo fatto, a volte».

A giudicare dai tweet, sembra molto negativo sulla politica.

«Non sulla politica, ma sulla comunicazione. Quando scendi in un'arena in cui la tua parola vale quanto quella di tettagrossa98, tutto perde di significato. Secondo me ci sono arene in cui l'amministratore non deve andare, se non in modo istituzionale. Ci deve essere il profilo della presidenza del consiglio ma non quello del premier. Secondo me in questo momento il livello della comunicazione è così basso che la miglior comunicazione possibile è quella che non c'è».

Tornando alla serie, si parla di psicanalisi, lei che rapporto ha con la materia?

«Ho frequentato molto, soprattutto negli anni scorsi. L'analisi è come una vecchia fidanzata da cui torni ogni tanto, sempre accogliente. Sarà che gli dai 70 euro l'ora!»

Ha recentemente esordito come romanziere, com'è andata?

«Grazie a dio ho venduto, è andata bene. La cosa che mi ha fatto più piacere è che molte professoresse di italiano mi hanno chiamato per farmi incontrare gli studenti perché hanno trovato che il libro fosse ben scritto e per uno che non ha mai avuto un grandissimo rapporto con le prof di italiano è stata una bella redenzione. Sono contento e tra qualche anno magari faccio il bis».

Ha vissuto la scrittura come una forma di libertà?

«È tutta la vita che mi metto nei guai per poi provare a togliermi dai guai. Anche il libro è stata questa cosa qui. Mi sono imposto di farlo pensando di non essere in grado, invece sono arrivato in fondo».

E ora c'è del cinema in vista?

«Un film corale su Netflix diretto da Paolo Costella, con Fabio Volo e Ambra, scritto da Paolo Genovese. Sono quattro storie che si intrecciano e io sono un marito, come spesso mi capita, fedifrago».

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